Meneghello con ‘I piccoli maestri’

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Siamo a ridosso della Liberazione, del 25 Aprile, e per ricordare la sconfitta di fascisti e nazisti vorrei riprendere il filo del discorso iniziato con il bel libro di Mario Mirri (La guerra di Mario, recensito su queste stesse pagine), partigiano con Luigi Meneghello sull’altopiano di Asiago.

Meneghello in I piccoli maestri narra la sua esperienza resistenziale e quella di un gruppo di giovani studenti aderenti al Partito d’Azione. La definizione di romanzo, però, non sarebbe stata molto gradita all’autore perché le sue intenzioni non erano di scrivere un “romanzo” ma quelle di redigere «un resoconto veritiero dei casi miei e dei miei compagni negli anni dal 1943 al ’45: veritiero non all’incirca e all’ingrosso, ma strettamente e in ciascun dettaglio».
I piccoli maestri si apre con un flashback sulla fine della guerra. Insieme “alla” Simonetta, partigiana con lui a Padova, Meneghello torna sotto il monte Colombara dove – rifugiatosi in una scafa per sottrarsi a uno dei tanti rastrellamenti dell’estate del ’44 – aveva abbandonato il suo parabello (Sten).

Lo scrittore vicentino con la sua scrittura lieve e ironica conferma la sua distanza da ogni celebrazione retorica ed eroica della Resistenza. Così gli uomini appaiono con le loro paure, le loro incertezze, i loro dubbi, le loro ingenuità, le loro vigliaccherie, i loro errori. Piccoli maestri è un continuo succedersi di narrazioni degli avvenimenti e di riflessioni di carattere etico, morale, ma anche politico e sociale. Meneghello, poi, non ha nessuna difficoltà ad attribuire alla Resistenza la natura di guerra civile.

Dar conto al lettore di un libro come I piccoli maestri è difficile soprattutto per la complessità delle tante sollecitazioni che i quadri narrativi suscitano. Per immergere il lettore nel clima della liquefazione dell’esercito (non della patria) – abbiamo seguito le tracce del capitano Zelin, allievo ufficiale degli Alpini di stanza prima a Merano e poi a Corneto (Tarquinia) dove arrivò l’annuncio dell’armistizio. «L’armistizio venne sotto forma di urlo, verso sera: noi stavamo seduti davanti alle tende con le mani incrociate sulla pancia: un alpino attraversò il campo di corsa … Faceva un urlo come uno che vogliono scannare … Si sentiva che diceva: “L’è finita!”. Credeva che fosse finita. È strano che non mi ricordi più come apprendessimo invece la caduta del regime; eppure dovrebbe essere un ricordo-base. Invece niente». Per chi volesse farsi un’idea della situazione in Italia dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, senza leggersi un libro, può guardarsi il film di Luigi Comencini Tutti a casa (1960).

Dopo lo sbandamento – per tornare al romanzo – il ritorno a casa, a Malo nel vicentino, e i primi difficili contatti tra gli oppositori al fascismo. Un’opposizione motivata da ragioni diverse: politiche, civili, ideologiche o personali.
«Sentivo più correnti incrociarsi, lì sulla conchetta della Fontanella: l’anarchia politica, i ladronecci di galline, lo storicismo crociano, l’antifascismo. Si avvertiva di essere testimoni di un singolare processo storico, qualcosa che riguardava le componenti sommerse della vita italiana, o forse della storia europea». Così Meneghello dà uno spaccato dell’Italia che la caduta del fascismo prima e l’8 settembre 1943 rivelano agli occhi di un giovane proveniente dai Gruppi universitari fascisti di Padova. Nel maggio del 1940 aveva vinto i Littorali nel campo degli studi di dottrina fascista. Ma nell’estate dello stesso anno incontra Antonio Giuriolo, decisivo per le sue scelte future. Infatti – scrive Meneghello – «Senza di lui – Giurolo era suo professore all’Università di Padova – non avevamo veramente senso eravamo solo un gruppo di studenti alla macchia … Per quest’uomo passava la sola tradizione alla quale si poteva senza arrossire dare il nome di italiana; Antonio era un italiano in un senso in cui nessun altro nostro conoscente lo era; stando vicino a lui ci sentivamo entrare anche noi in questa tradizione. Sapevamo appena ripetere qualche nome, Salvemini, Gobetti, Rosselli, Gramsci, ma la virtù della cosa ci investiva. Eravamo catecumeni, apprendisti italiani».

I ventimesi che vanno dal settembre 1943 all’aprile 1945 si incaricheranno di rivelare ai partigiani saliti sui monti, scrive l’autore, che «l’Italia in nostra assenza si era comportata benissimo».

Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia (recensione di Glauco Bertani).

Colonna sonora:

Peter Gabriel, Red Rain

Durutti Column, Sketch for Dawn

David Bowie, Boys Keep Swinging (Live 1979)

Tracy Chapman, Talkin’ bout revolution

Arcade Fire, Rebellion (Lies)

I nostri voti


Stile narrativo
7.5
Tematica
7
Potenzialità di mercato
6.5