L’assalto squadrista a La Giustizia

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I primi mesi del 1921 furono tragici per le sorti dell’organizzazione socialista reggiana (nella prima foto Giovanni Zibordi con Camillo Prampolini).
Le squadre fasciste, organizzate militarmente, dispiegarono la loro furia distruttrice in ogni comune della provincia. Tutto ciò seminò morte, devastazione, assalto alle cooperative, ai sindacati, alle sezioni e ai comuni retti dai socialisti. Fu così a Correggio il 31 dicembre del 1920, dove si ebbero le prime vittime in terra reggiana: Agostino Zaccarelli e Mario Gasparini. A Sant’Ilario il 27 febbraio 1921 fu assalita, devastata e incendiata la Cooperativa di consumo. In quella circostanza rimase ferito gravemente, morendo qualche settimana dopo per le ustioni riportate, il comandante dei Vigili del Fuoco ingegner Carlo Caffarri. Il sindaco venne arrestato e si registrarono oltre 50 feriti.

Il 14 marzo una delegazione del fascio, capeggiata dal segretario M.L. Lari, incontrò, presso la sede della Giustizia, alla presenza di Prampolini, l’onorevole Zibordi, per intimargli di smentire la sua relazione sull’ordine pubblico a Reggio fatta in Parlamento e di intervenire, entro due giorni, presso il Prefetto perché revocasse i provvedimenti di trasferimento del capitano dei carabinieri Cazzaroli e del vice commissario Marca, accusati di favoreggiamento a favore degli squadristi. In caso contrario sarebbe scattata la legge del “occhio per occhio”.

Infine cercarono di convincerlo a lasciare la città. Zibordi rifiutò le loro richieste, impegnandosi solo a favorire la pacificazione. Al termine dell’incontro, un gruppo di fascisti che sostava in strada seguì i due parlamentari socialisti fino all’abitazione di Prampolini di via Porta Brennone. I due deputati socialisti riuscirono ad evitare l’aggressione, raggiungendo in tutta fretta l’abitazione di Prampolini, riuscendo così a chiudersi il portone alle spalle. Non contenti del loro agguato miseramente fallito, i fascisti esplosero tre colpi d’arma da fuoco, uno dei quali si conficcò nel soffitto dell’androne della casa. Gli stessi facinorosi si recarono quindi sotto l’abitazione di Zibordi al n. 6 di corso Cairoli per minacciare con urla e pistole in mano anche la moglie e la figlia.

Il 27 marzo a Fabbrico venne devastata la cooperativa di consumo. La stessa sorte toccò il 30 marzo alla Cooperativa di Villa San Maurizio. Il 31 marzo a Rolo squadristi di Carpi aggredirono l’ex sindaco Camurri e il segretario delle Leghe Gasparini. Il 3 aprile a Novellara vennero assalite la Cooperativa di consumo e l’ufficio di collocamento.

Il 5 aprile l’amministrazione socialista di Correggio rassegnò le dimissioni per l’impossibilità ad operare sotto la continua minaccia della violenza.

Il giorno 7 aprile a Guastalla dopo un comizio dei sindacati nazionali fascisti, alcuni squadristi assalirono lo studio dell’avvocato Adelmo Sichel. Quello era il clima entro il quale i socialisti dovettero battersi per sopravvivere. Poi la situazione precipitò molto rapidamente. Entro il mese di aprile furono sciolte le amministrazioni socialiste dei comuni di Sant’Ilario, Rolo, Rio Saliceto, Correggio, Fabbrico, Guastalla Campagnola, San Martino in Rio.

La violenza fascista portò rapidamente alla liquidazione degli uffici di collocamento, allo scioglimento delle Leghe, delle Camere del Lavoro, all’annullamento degli accordi sottoscritti a seguito delle lotte agrarie. Si giunse, in sostanza, alla distruzione delle conquiste più significative conseguite dal movimento socialista nel primo dopoguerra.

Fu dunque in quel clima di violenza e sopraffazione che avvenne anche l’assalto e la distruzione della Camera del lavoro di Reggio e della tipografia de La Giustizia.

Prendendo a pretesto il ferimento di un fascista durante alcuni scontri avvenuti la mattina dell’otto aprile a Novellara, la cui dinamica restò peraltro sempre oscura, una squadra di fascisti si recò, verso le diciotto, in via Farini per assaltare la Camera del lavoro.
Essendo a quell’ora chiusa, vi penetrarono dall’attiguo Caffè Roma e una volta dentro devastarono tutto: documenti, giornali, mobilio. L’assalto si estese poi alla libreria “stampa socialista” del piano sottostante e al “Club socialista”, con sede presso l’isolato San Rocco.

Non contenti di tanta devastazione, i fascisti, in maggioranza giovanissimi, si diressero verso la sede del giornale La Giustizia, posta nella vicina via Gazzata. Avvertiti appena in tempo da un compagno dell’imminente pericolo, all’udire i primi colpi di pistola, i lavoratori e i tipografi ancora al lavoro, credendo, a torto, che Prampolini fosse già uscito, si allontanarono. Di conseguenza ad accogliere gli squadristi rimasero solo Prampolini e il tipografo Fornili. Prampolini, verso il quale i fascisti non usarono violenza, li invitò a controllare il loro comportamento visto che lo stesso edificio ospitava anche un collegio maschile. Poi rivolse loro un appello accorato: “Prendetevi la mia vita! Ma rispettate questo giornale che appartiene a tutta la classe lavoratrice”. Ogni raccomandazione cadde però nel nulla e i fascisti iniziarono la loro opera devastatrice.

Gli uffici presi maggiormente di mira furono quelli dei due direttori: Prampolini e Zibordi, allora assente per sfuggine ad altre più pesanti aggressioni. Assenza che pesò e rattristò molto l’animo del direttore, che nelle lettere inviate a Prampolini confessò d’essere tragicamente incerto sul da farsi, perché profondamente tormentato dalla necessità di proteggere la sua famiglia e il senso del dovere verso tutti i compagni, che lo spingeva a tornare a Reggio e riprendere il suo posto alla guida del giornale.

I fascisti procedettero alla distruzione di tutto quello che trovarono. Appiccarono il fuoco alle collezioni di libri e alla raccolta della stessa Giustizia, distrussero mobili, misero fuori uso tutti i macchinari: macchine da stampa, il telegrafo del giornale e i moderni macchinari Tipografici, usati per la composizione del giornale. Passato il trauma, i socialisti reggiani, tuttavia, si misero subito all’opera per riprendere le pubblicazioni.
Molti accorsero per offrire il loro contributo di lavoro affinché la sede tornasse di nuovo agibile, molti altri aderirono alla sottoscrizione immediatamente aperta per riacquistare ciò che era andato distrutto. Fu così che La Giustizia tornò ad uscire quasi subito, seppur in forma ridotta, e ricorrendo alla composizione a mano.

Già il 10 aprile su La Giustizia si poteva leggere: “Hanno annientato il giornale delle nostre idealità nella vana illusione di soffocare per sempre la voce libera e schietta che guidò per anni e anni a tante battaglie e a tante vittorie. Vano sogno torbido e triste. Il nostro giornale e le nostre istituzioni vegliano sempre e dalle ceneri del rogo che vorrebbe annientarle risorgeranno più forti e più salde”.

Il Giornale di Reggio il 9 aprile riportò parte della relazione del prefetto al ministero degli Interni, che per la verità si rivelò sostanzialmente verosimile ai fatti accaduti: “i fascisti salirono rapidamente e si trovarono di fronte all’onorevole Prampolini che era stato lasciato completamente solo per la fuga di tutti i suoi “compagni” non appena si trovò di fronte ai fascisti, cercò di invocare in preda a viva emozione, alla calma, tanto più per la vicinanza di un istituto nel quale sono raccolti dei ragazzi. Dato lo stato di eccitazione degli animi non però possibile essere, se non molto relativamente, ascoltati: i fascisti però con manifestazione e deferenza personale verso l’onorevole Prampolini, lo invitarono ad uscire, impegnandosi a condurlo presso la propria abitazione.


Vari fascisti entravano senz’altro nell’ufficio occupato dall’onorevole Zibordi, il quale non c’era. L’ufficio fu devastato e alle carte fu dato fuoco. Le fiamme si comunicarono rapidamente agli altri uffici laterali e il fuoco minacciava altresì di propagarsi a tutto il fabbricato e anche al pianterreno ove ha sede la tipografia, ma si annunciò l’arrivo dei carabinieri e delle guardie seguiti a breve distanza dai pompieri con le macchine di spegnimento e gli attrezzi”.

Dopo l’assalto dell’8 aprile, a Zibordi subentrò come direttore del giornale Amilcare Storchi e l’anno successivo la Giustizia fu trasferita a Milano sotto la direzione di Claudio Treves.