La settimana rossa

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La situazione del movimento socialista nel 1914 apparve nettamente divisa in due. Se, infatti, il congresso di Ancona, che segnò, in stretta continuità con le conclusioni del congresso di Reggio Emilia del 1912, l’indiscusso indirizzo intransigente della Direzione del partito, per contro la CGdL nel suo congresso di Mantova del 5 maggio 1914, ribadì con la relazione di Rigola la sua opzione riformista.

Nella sinistra, intesa in senso lato, permaneva ancora un’anima di matrice ottocentesca un po’ mazziniana e un po’ bakuniniana, affascinata dal mito insurrezionalista. Su quest’ultimo fronte si andò formandosi una convergenza fra repubblicani di Nenni, la sinistra socialista di Mussolini e gli anarchici di Malatesta e Borghi. Questo blocco politico, l’antimilitarismo e le conseguenze politiche ed economiche della guerra libica, furono alla base del moto insurrezionale che si verificò nel mese di giugno ad Ancona e in Romagna, noto come la “settimana rossa”.

Il tema della rivoluzione era ricorrente negli scritti e nell’oratoria sia di Mussolini che di Nenni, per non parlare dell’anarchico Malatesta, che tornato dall’esilio londinese, si diceva convinto che il proletariato fosse in marcia verso la rivoluzione. Tutti invocavano lo sciopero generale.

Il tradizionale antimilitarismo venne superato in nome di un antimilitarismo di massa contrario alla leva triennale e alle compagnie di disciplina. Su questi temi si incentrarono le manifestazioni del 1° maggio 1914, specialmente ad opera dei giovani socialisti e di alcune Camere del Lavoro. Si attendeva solo l’occasione, la scintilla che avrebbe dato il via all’insurrezione. E l’occasione venne da Ancona, che era diventata la capitale dell’anarchismo, dei giovani repubblicani rivoluzionari e del sindacalismo rivoluzionario. Non a caso in quella città si pubblicavano il foglio Volontà di Malatesta e il Lucifero di Nenni.

Il giorno fu individuato nella prima domenica di giugno, festa dello statuto. I promotori della protesta vollero trasformare quell’appuntamento in una giornata nazionale pro Masetti, il giovane soldato che, rifiutandosi di partire per la guerra di Libia, al grido di “abbasso la guerra, viva la rivoluzione”, aveva sparato contro un colonnello.
Comizi vennero tenuti in molte città italiane dai più noti rivoluzionari. Ad Ancona il comizio venne convocato presso “Villa Rossa”, sede di una sezione repubblicana e del Circolo “Gioventù Ribelle”, pure repubblicano.

Alla presenza di circa seicento persone parlarono il segretario socialista della Camera del Lavoro Alfredo Paitrani, Nenni per i repubblicani, Pelizza per i sindacalisti, Malatesta per gli anarchici e Marinelli per la gioventù repubblicana. Fuori un cordone di polizia fu schierata per impedire l’afflusso di dimostranti in piazza dove si stava svolgendo la celebrazione ufficiale dello Statuto.

Al termine della manifestazione a “Villa Rossa” scoppiarono gli scontri. Da parte dei manifestanti vi fu un lancio di sassi al quale i carabinieri risposero aprendo il fuoco, che provocò tre morti, due repubblicani e un anarchico di 17, 22 e 24 anni. Subito dopo la città scese in sciopero guidata dalla Camera del lavoro. Lo sciopero generale si diffuse investendo le Marche, la Romagna e diverse città dell’Italia centrale e settentrionale.
In molte città fu proclamata la repubblica, a Milano Mussolini e Corridoni guidarono una imponente manifestazione, furono assaltati uffici governativi, chiese, vennero sabotate le linee ferroviarie e telegrafiche.

La Direzione del PSI decise, non senza qualche perplessità, di appoggiare lo sciopero generale a tempo indeterminato. Lo stesso fece la CGdL, riservandosi però di comunicare successivamente la data di cessazione. A Parma l’agitazione fu diretta da Alceste De Ambris e da Corridoni che diedero l’illusione di governare tutta la città.

Sollecitato da alcune Camere del Lavoro, come quella di Venezia diretta da Serrati, Il 10 giugno Rigola, non intravvedendo una via d’uscita, annunciò che lo sciopero generale sarebbe terminato a mezzanotte del giorno 11. Mussolini, che aveva fatto dell’Avanti! l’organo dell’insurrezione mancata, accusò i riformisti di aver decapitato il movimento, mentre invece Nenni, resosi conto di non avere sbocchi, presentò alla CdL di Ancona un ordine del giorno di cessazione dello sciopero.

Sul Lucifero scrisse che “la rivoluzione non era riuscita e che non vi era stata un’intesa, un’organizzazione, una coordinazione”.

Per Serrati i fatti di giugno avevano dimostrato la debolezza del socialismo rivoluzionario, per i riformisti si era trattato di istanze e prassi ormai estranee al socialismo italiano e internazionale. Salvemini parlò della “settimana rossa” come di “una rivoluzione senza programma”. Treves, come ricorda Gaetano Arfè nella sua “Storia del socialismo italiano”, per quanto riguarda il legame stabilitosi tra i socialisti e gli insorti per il tramite di Mussolini, ebbe parole durissime: “il partito è stato messo a rimorchio della teppa, considerata come forza d’urto della rivoluzione”.

Nelle elezioni amministrative successive furono i liberali a raccogliere il voto dei ceti medi spaventati dal sovversivismo della “settima rossa”, recuperando posizioni a danno dei socialisti in alcuni grandi centri come Firenze e Venezia.

La vera rivoluzione, quella più veritiera e certa, come affermò Turati in aperta polemica con Mussolini, rimaneva ancora una volta quella dell’urna e della scheda.
Il 28 giugno 1914 a Sarajevo veniva assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando, attentato che trascinerà tutta Europa nella prima guerra mondiale. In Italia contrapporrà interventisti e neutralisti fino all’entrata in guerra nel maggio 1915.




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