Sono ormai due mesi che celebro l’Eucaristia in casa. Ringrazio chi mi permette di tenermi in contatto con voi attraverso le trasmissioni in diretta: per me, questo è un grande dono, che mi fa sentire la vostra vicinanza. Qualcosa, però, sta cambiando in me. Vivo la Messa come qualcosa di grande, di fondamentale; ma, nello stesso tempo, essa mi chiede di andare al di là, in una dimensione superiore, in un “cielo”, per raggiungere il quale essa è come la scala.
Cerco di spiegarmi meglio. In queste domeniche, siamo stati condotti dalla liturgia a Gerusalemme, a contemplare, prima, la croce piantata davanti alla porta della città, poi il masso rovesciato e il sepolcro vuoto. Ci siamo rivisti nei discepoli di Emmaus, abbiamo riconosciuto la presenza di Gesù nel nostro oggi, nella nostra casa, nei gesti fraterni della preghiera e della carità. Ma già domenica scorsa il Buon Pastore ci ha invitato a uscire dall’ovile, dal recinto, dal cenacolo, per andare verso il mondo e oltre il mondo. Noi siamo quelli che vivono nel tempo, ma sono già oltre il tempo, nella comunione con un Dio che è entrato nella nostra storia e ci attira potentemente a sé.
Penso che Gesù si riferisca a questo, quando dice, questa domenica, “Vado a prepararvi un posto e, quando ve lo avrò preparato, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Non dobbiamo pensare che Gesù si riferisca alla nostra morte: certo, allora cadrà l’ultimo velo che rende incompleta la nostra vista. Ma già adesso noi viviamo nella comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Ecco: proprio il dono dello Spirito, che commemoriamo a Pentecoste, è l’ultimo, definitivo atto nel quale si compie il disegno divino: che noi siamo con lui, nella comunione che ci trasforma, a immagine del suo figlio Gesù: figli nel Figlio. Tutto questo avviene per un dono, che si chiama Spirito Santo: è lui il divino Artefice, che progressivamente ci rende simili a Gesù. I suoi strumenti sono lo scalpello delle fatiche, la lima della fedeltà al nostro dovere quotidiano, l’arcobaleno di colori, che sono i suoi doni.
Tutto questo è prima di tutto un dono. Io lo vivo nella Messa: sento profondamente la presenza del mistero dell’amore di Dio. Se non celebrassi la Messa, cadrei nel moralismo, in una triste caricatura del cristianesimo, ridotto a una legge. Certo, come dice l’apostolo Paolo, c’è una legge, quella che lo Spirito ha scritto nei nostri cuori (2Cor 3, 1-6), ma è una legge di libertà, secondo l’immagine stupenda di sant’Ignazio di Antiochia: “Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me fiamma alcuna per la materia, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre. Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di Davide, voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile”(ai Romani 7,3).
Comprendiamo ora che cosa intende Gesù, quando, rispondendo a Tommaso, dice: Io sono la via, la verità e la vita”. Egli non è solo la via; è anche la rivelazione del Padre, la “verità”, e la sua presenza che ci trasforma, la “vita”.
Questa esperienza, però, ci porta oltre noi stessi. San Pietro, nella seconda lettura di oggi, usa l’immagine della costruzione, che ha come pietra angolare Gesù e come cemento l’amore dello Spirito Santo. Io sento infatti che la mia Messa vi raggiunge, che i limiti attuali non impediscono, ma sono una sfida positiva all’unione tra di noi; nello stesso tempo, sento che anche voi vivete il vostro “sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (sempre san Pietro). Se mi è lecito usare ancora le parole di sant’Ignazio, posso dire un poco anch’io: “Canto alle chiese ed auguro loro l’unione nella carne e nello spirito di Gesù Cristo, nostra eterna vita, della fede e della carità, cui nulla è da preferire, e ciò che è più importante l’unione con Gesù e il Padre. Se rimaniamo in questa ed evitiamo ogni assalto del principe di questo mondo, raggiungeremo Dio”(ai Magnesii 1,2).
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costruiranno e demoliranno, costruiranno e demoliranno, a vantaggio dei padroni di casa, ovvero semplici personaggi eletti. E pubblicizzati come il cioccolato. Ma che dignita' ?
Gentile Casali (Ivaldo e' un nome bellissimo, ma richiama a un'epoca aristocratica di borghesia, che purtroppo la comunicazione sputtanesca, ha infangato), dicevo che il Conad […]
Questi politici pagati da noi cittadini, che dovrebbero curare i nostri interessi, diventano i nostri nemici. E poi si stupiscono che ci vada sempre meno