Il virus ci ricorda la nostra fragilità

Don Giuseppe Dossetti

Faust, nel dramma omonimo di Goethe, ha fatto un patto col diavolo: egli avrà a disposizione l’energia e i mezzi per costruire un mondo perfetto: se un giorno egli dirà all’istante che sta vivendo “Fermati: sei bello!”, Satana diverrà padrone della sua anima. Faust si impegna allo stremo ed è convinto che i suoi sforzi abbiano successo. In realtà, egli non si accorge di essere cieco e che il mondo perfetto è in realtà un’illusione. La clemenza divina avrà pietà di lui, per aver subito l’inganno del diavolo e Faust si salverà.

Ecco: penso che la pandemia dovrebbe aprirci gli occhi e aiutarci a riconoscere il carattere drammatico della storia umana. Siamo stati ciechi di fronte ai barconi che si inabissano nel Mediterraneo e di fronte ai bambini colpiti dalle bombe e dai missili nella terra dove due millenni fa è stata annunziata la pace. Rimarremo forse ciechi anche davanti alla fragilità che ci viene ricordata dal virus. C’è tanta voglia di delegare il problema alla scienza e ai governi, per ricominciare tutto come prima, nell’illusione che forse almeno il nostro pezzetto di mondo possa essere, se non perfetto, almeno il migliore di quelli possibili.

Sarebbe sbagliato, d’altra parte, cedere al pessimismo. Ma è possibile riconoscere la verità del male e continuare a sperare e a operare per il bene? Lo dovrebbe essere, almeno per chi si dice cristiano. Nel Vangelo, Gesù, alla vigilia della sua passione, riconosce i limiti dei suoi discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16,12). I discepoli vedono soltanto una parte della realtà, il male che trionfa, uccidendo il Maestro, e, nello stesso tempo, la loro debolezza e viltà.

Ma Gesù continua: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla verità tutta intera”. Qual è dunque la parte di verità che ci manca? Anzitutto, è il significato della Croce. Essa è sconfitta o vittoria? Certo, Dio non rivolge il suo sguardo da un’altra parte, di fronte al male del mondo, ma lo condivide fino alle sue ultime radici. Fa parte del peso che noi ci rifiutiamo di portare anche la verità su noi stessi, sul male che è in noi, non fuori di noi: la croce di Dio, come quella degli uomini, dovrebbe condurci a un onesto esame di coscienza: Usando la formula di san Paolo, ci sono due dimensioni della realtà, la “carne” e lo “spirito”. La carne è l’uomo abbandonato a se stesso, Adamo presuntuoso, miserabile e violento. Lo “spirito” è lo Spirito Santo, che il Creatore insufflò nelle narici della statua di fango, che l’uomo perse, quando volle essere un dio, e che Gesù gli restituisce, rendendolo partecipe della sua risurrezione.

La descrizione paolina delle “opere della carne” è impressionante: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Galati 5,19ss). Non dobbiamo usare questo elenco per tracciare confini tra gli uomini: Il confine passa dentro di noi ed è onesto e necessario riconoscere che ci troviamo di fronte a possibilità reali, per tutti, alle quali abbiamo forse portato il nostro contributo. Alle “opere della carne” si contrappone il “frutto dello Spirito”: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (5,22). Anche qui si tratta di possibilità reali: ma, mentre le “opere della carne” dipendono come da una forza di gravità intrinseca all’uomo, il “frutto dello Spirito” è conseguenza del dono che riceviamo, quando riconosciamo umilmente la fragilità delle nostre opere e ci consegniamo all’opera di Dio, che a sua volta ci consegna i il Figlio suo. Sempre Paolo dice: “ Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo” (Efesini 2,8ss).

Questa è dunque la parte che mancava, perché la nostra verità sia “intera”: la realtà del male, del quale così facilmente diventiamo complici, e la libertà della vita nello Spirito, donato a chi riconosce che quella croce innalzata alla porta di Gerusalemme distrugge il suo orgoglio e conforta la sua rinascita.