Il comunista ucciso dai comunisti (2)

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Dimentichiamoci l’oggi, dimentichiamoci Internet, tablet, smartphone, parabole, Youtube e le dirette sui social. A metà degli anni Settanta esistono solo la radio e la tv, che sta progressivamente passando al colore. Proprio i Giochi Olimpici di Montréal – chiusisi pochi giorni prima dell’omicidio di Benito Corghi al confine tra le due Germanie – sono il primo evento sportivo trasmesso integralmente a colori dalla Rai, un esperimento che l’anno dopo porterà al definitivo abbandono del bianco e nero.

Mamma Rai, in realtà, ci aveva provato anche un paio d’anni prima, con le drammatiche Olimpiadi di Monaco 74 e le prime trasmissioni sperimentali, caratterizzate dall’amletico dubbio – Pal o Secam? – sul sistema da adottare (il primo, che poi prevarrà, tedesco, il secondo francese). Ma un acceso quanto retrogrado dibattito politico aveva ritardato l’ingresso nelle case degli italiani della tv a colori, ritenuta un consumo superfluo, un inutile lusso che il Paese non poteva permettersi.

In prima fila, nell’opporsi all’avvento del colore, c’è il segretario del Partito repubblicano, Ugo La Malfa, fautore di una politica economica pubblica talmente rigorosa da rasentare il pauperismo. Del resto questi saranno anche i mesi dell’austerity, la serie di misure di contenimento forzato dei consumi adottate d’urgenza dal Governo Rumor per fronteggiare la crisi petrolifera del 1973: auto ferme la domenica (prima tutte, poi a targhe alterne) e limiti di velocità abbassati; cinema, teatri e trasmissioni televisive costretti a chiudere entro le 23; insegne spente e illuminazione pubblica ridotta.

Al fianco di La Malfa, preoccupati che la tv a colori possa minare la precaria situazione economica italiana, scatenando una sfrenata corsa all’acquisto da parte delle famiglie, anche il Psi, il Psdi, il Pci di Berlinguer e la Cgil. La Dc fa la Dc, stando un po’ di qua e un po’ di là, con la sinistra fondamentalmente contraria.


Già il 3 febbraio 1967 l’Unità, il quotidiano del Partito comunista, aveva titolato con un entusiasta “Non prevista la tv a colori per i prossimi cinque anni” la notizia dell’accoglimento, alla Camera, di un emendamento presentato dallo stesso La Malfa e “dal compagno socialista autonomo Anderlini” – e sostenuto dallo stesso Pci – scrivendo: “E’ un lusso che non possiamo permetterci perché costerebbe alle famiglie qualcosa come duemila miliardi da sottrarre al risparmio”.

Tra il 1972 e il 1973, passata la moratoria quinquennale, il dibattito si ripropone, rischiando addirittura di far cadere uno dei primi governi Andreotti proprio per la minaccia di La Malfa di ritirare il sostegno del Pri. La Cgil scrive in una nota che “l’adozione della televisione a colori si muove in senso del tutto opposto alle esigenze del nostro Paese”. Su Rinascita, il mensile politico-culturale del Pci, si legge: “Siamo a un punto estremamente delicato della vita economica e politica della nazione: e la tv a colori rappresenta un emblema di un tipo di sviluppo che è danno non solo ai lavoratori, ma a tutto il paese e alla democrazia”. “La questione – rafforza il concetto l’Unità – non è se introdurre in Italia la Tv a colori, bensì quando introdurla… Chiarire se il paese può sopportare questa spesa e quali vantaggi eventuali, se vantaggi ci sono, potrebbe dare alla nostra economia. Si tratta di capire e decidere se la Tv a colori è conciliabile con la vigente necessità di case, scuole, ospedali”.

Alla fine, in Italia, le trasmissioni a colori debuttano così solo nel febbraio 1977, oltre vent’anni dopo gli Stati Uniti, ma soprattutto con un ritardo di dieci anni rispetto a Francia, Germania Ovest, Regno Unito e Urss e di otto anni rispetto alla stessa DDR. Col risultato – paradossale per un economista del calibro di La Malfa e per partiti e sindacati così vicini ai lavoratori – di mettere in ginocchio la nostra industria elettronica italiana, dalla popolare Mivar alla raffinata Brionvega, costringendo le famiglie italiane a rimpinguare la casse delle tedesche Grundig, Telefunken e Nordmende o dell’olandese Philips.

A colori o in bianco e nero che fosse, in quella estate del 1976 in cui il rubierese Benito Corghi viene ucciso dai Vopos a Hirscherg, la televisione è il principale, praticamente unico, mezzo di comunicazione. E le Olimpiadi, insieme ai Mondiali di calcio, rappresentano l’evento più importante, con le loro sterminate platee televisive, per dimostrare al mondo la superiorità del socialismo reale. I regimi comunisti – dall’Unione sovietica a Cuba, attraversando l’Europa dell’Est – vogliono gonfiarsi il petto di medaglie per rafforzare la propria immagine, rappresentare un esempio ai giovani di ogni continente, proprio nel momento in cui in Occidente, finiti gli anni del boom post bellico, il capitalismo inizia anche ideologicamente a perdere colpi.

E proprio a les Jeux de la XXIe Olympiade la rappresentativa del martello e del compasso racchiusi tra due gambi di segale (l’emblema della Germania dell’Est, inserito sul tricolore nero, rosso e giallo a simboleggiare l’unità di operai, intellettuali e contadini) stupisce il mondo. Con i suoi 267 atleti, la delegazione della DDR – guidata nella cerimonia d’apertura dal marciatore Hans-Georg Reimann – partecipa a 139 competizioni in 17 discipline, conquistando la bellezza di 90 medaglie: 40 d’oro, 25 d’argento e altrettante di bronzo. Esattamente il doppio delle 20 medaglie d’oro conquistate quattro anni prima, ai Giochi di Monaco 72: uno straordinario bottino che frutta il secondo posto nel medagliere, alle spalle solo dei “compagni” dell’Urss e davanti ai “nemici” degli Stati Uniti.

Poco importa se, un paio di decenni dopo, si scoprirà che gran parte di quelle medaglie erano il frutto di una delle più sistematiche e atroci pratiche di doping nella storia dello sport che, una volta spentisi gli inni e ammainate la bandiera, avrebbe col tempo prodotto morti e tentativi di suicidio, corpi deformi e menti devastate da psicosi e bulimia, ovaie atrofizzate e raffiche di aborti spontanei, cambi di sesso.

Ma questa è un’altra storia…

(2, continua)

La prima puntata Il comunista ucciso dai comunisti