Vincenzo Muccioli angelo o demone

Vincenzo Muccioli SanPa

Negli anni della mia gioventù, a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80, l’eroina e i “drogati” erano parte del paesaggio urbano. Li vedevi nei luoghi convenzionali in ogni città: a Reggio ricordo i gradini della statua del Crostolo in piazza Prampolini, la galleria Santa Maria a ridosso della farmacia comunale, il Campo Tocci e naturalmente piazza Fontanesi, luogo che ospitava un mercato della droga a cielo aperto.

La presenza di questi ragazzi visibilmente sofferenti, ciondolanti in quanto “fatti”, tollerati a fatica dalla società e comunque visti come un potenziale pericolo pubblico, aggiungeva un tono oscuro ai già pesanti anni di piombo di quel tempo di conflitto sociale. Il drogato era vicino alla morte, la rischiava ogni giorno, e dunque essa veniva riproposta continuamente alla nostra attenzione. Era come se la morte, compresa la nostra, fosse lì, a portata di mano.

L’irruzione dell’eroina in Europa fu lo strumento con cui poteri opachi e trasversali vollero colpire i movimenti giovanili tentati dalle strade rivoluzionarie (chi volesse approfondire digiti su Google le parole “operazione Blue Moon”). Ammesso che questo fosse lo scopo, gli effetti andarono ben oltre gli auspici. Migliaia di giovani si rivolsero alla droga per sopperire ai disagi di un’esistenza deprivata di valori e speranze, dopo che i più grandi di essi si erano ormai arresi dinanzi alle delusioni della politica e all’ondata individualista del tempo del cosiddetto riflusso.

Nessuno era pronto, men che meno lo Stato, a fronteggiare una simile emergenza. Le prime risposte furono di natura spontaneista: la chiesa vi si buttò con grande slancio grazie all’azione di alcuni preti illuminati dalla forza del Vangelo realizzando le prime comunità di accoglienza. Più lentamente, Regioni ed enti locali crearono una rete per dare risposte sanitarie, a iniziare dalla distribuzione di metadone. Dalla società civile sorsero esperienze di privati, la cui più visibile e rilevante fu certamente San Patrignano, nei pressi di Rimini. Ed è proprio all’esperienza di San Patrignano che è dedicata la docu-serie “SanPa”, disponibile su Netflix, uscita il 30 dicembre scorso, già oggetto di intenso dibattito sui media.

La figura-chiave di San Patrignano fu ovviamente il suo fondatore, Vincenzo Muccioli, il quale scelse di dedicare la propria esistenza a salvare la vita di quanti più ragazzi tossicodipendenti possibile. La sua, di vita, fu densa di trionfi e di cadute. Fu venerato come un dio in terra e oltraggiato come un criminale comune. Venne persino messo in carcere a causa dei metodi duri applicati agli ospiti della comunità come punizione per aver tentato la fuga o anche soltanto disobbedito agli ordini di un superiore.

Di certo vi è che Muccioli portò San Patrignano ad accogliere negli anni decine di migliaia di tossici altrimenti allo sbando esistenziale, e che salvò la vita di moltissimi tra di essi. Osservate le immagini tratte dalla docu-serie: vedrete migliaia di genitori disperati pronti a tutto pur di difendere Muccioli dalle aggressioni giudiziarie, con manifestazioni di piazza che non lasciavano dubbi su come la pensassero le famiglie.

Ciascuno potrà farsi un’opinione seguendo la narrazione di “SanPa”, che procede sul versante accusatorio piuttosto che su quello innocentista. Non basta, tuttavia, ed è un limite della serie, ridurre Muccioli a caso giudiziario.

San Patrignano crebbe in condizioni emergenziali perché al tempo non esistevano alternative. Tutti vi si rivolgevano, compresi i giudici, quando erano alle prese con reati commessi a causa della tossicodipendenza. Ogni giudizio morale sulla persona di Vincenzo Muccioli parte di qui: quante vite hai salvato? Etica laica, etica evangelica portano alla stessa conclusione. “Ama e fa’ ciò che vuoi”, insegna d’altronde Agostino d’Ippona.