Scuola diffusa: parliamone sul serio

scuola diffusa Reggio Banca Italia

Reggio Emilia ci sa fare con l’educazione e con la formazione. Un’ulteriore conferma arriva dall’idea della cosiddetta scuola diffusa: la possibilità data alle classi di studenti anche al di fuori delle aule scolastiche tradizionali.

Un piccolo grande capolavoro: nelle difficoltà legate al distanziamento tra studenti per il Covid, mentre il ceto politico nazionale si inventa la ridicola proposta dei banchi a rotelle – a proposito, che fine hanno fatto? E i soldi spesi, saranno mai restituiti? – i nostri amministratori, in primis Raffaella Curioni, si inventano l’idea dalla scuola diffusa, con un notevole sforzo organizzativo ed economico che porta a gestire l’emergenza proponendo un modello di scuola (anche nella primaria e alle medie) che da emergenziale e sperimentale riceve elogi in campo nazionale e potrebbe diventare permanente, con l’approdare di classi nei luoghi della cultura, dell’arte e della socialità.

Tanto che anche per il prossimo scolastico, nonostante il Covid non sia più un’emergenza come negli scorsi anni, si partirà da settembre con sei spazi messi a disposizione, a rotazione, delle scuole di Reggio, oltre a un luogo fisso: dalla Casa del Gufo per la scuola Ghiarda alla Fondazione I Teatri, ai Musei civici, al centro Malaguzzi, all’azienda agricola La Collina, alla Fondazione Palazzo Magnani, a Palazzo da Mosto.

Insomma, oltre alle eccellenze mondiali di Reggio Children e della metodologia del Reggio Approach per quanto riguarda i nidi e le scuole dell’infanzia, la nostra città si distingue anche per altri ordini di scuola. Tanto che i nostri amministratori ne hanno parlato recentemente al Festival dell’innovazione scolastica di Valdobbiadene.

Ciò mi permette di riparlare ostinatamente, come faccio da oltre due decenni, di una mia idea: dato che la nostra città, a differenza di tante altre, ha già un brand nazionale, europeo e mondiale legato alle proprie eccellenze sulla pedagogia, sulla didattica, sulla formazione, perché andare a parlarne a Valdobbiadene e non pensare a un grande festival internazionale della pedagogia e dell’educazione? Non per infantilizzare la cultura, ma per ridare alla cultura e all’arte quella chiave anche sociale, legata inevitabilmente alla loro divulgazione? Che è poi la linea che ha caratterizzato i momenti migliori dell’identità culturale e anche politica della nostra città?

In questi decenni ho avuto la possibilità di parlare di questa piccola grande idea a politici, amministratori, sindaci, presidenti di Reggio Children, presidi, amici, giornalisti, docenti. In tanti hanno espresso interesse. Credo sincero. Poi, tutte le volte, un silenzio assordante. Perché no? Cosa c’è sotto? Qual è il problema? Nessuna risposta pervenuta. Per carità, anche le idee che paiono interessanti alla fine possono rivelarsi meno interessanti o negative. Ma una risposta chiara, tra persone serie, è dovuta. Ecco, prima di passare all’altro mondo, spero di ricevere qualche risposta.