Antropocene e future pandemie

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Concentrati sulla campagna vaccinale in corso e ovviamente desiderosi di sentirsi finalmente immuni dall’attacco del coronavirus tendiamo a considerare la vicenda pandemica che assilla la gran parte del mondo occidentale come un accidente della storia. Preoccupati come siamo del presente preferiamo indulgere nella convinzione che, debellato il Covid, il futuro sarà più o meno uguale a prima. Della valanga di parole spese in questi mesi di flagello nulla o quasi si è detto circa la collocazione storica di questa crisi sanitaria. Che taluni hanno invece cominciato a definire “la prima pandemia dell’Antropocene”.

Si definisce Antropocene quell’era geologica in cui l’azione dell’essere umano sul pianeta ha iniziato a produrre effetti rilevanti sullo stato della Terra. Fenomeni che caratterizzano l’Antropocene sono l’inquinamento, i cambiamenti climatici, gli effetti deleteri di industrializzazione e motorizzazione di massa, la creazione di cluster umani nelle megalopoli del pianeta, i gas serra derivanti da attività produttive fortemente tossici su atmosfera, falde acquifere, territori.

Abbiamo ridotto il dibattito sulla genesi del coronavirus a un argomento di opaca geopolitica. Trump lo chiamava “il virus cinese”, poi i cinesi e il sud-est asiatico si sono liberati del problema e hanno rigettato le accuse in campo avverso. Ne è seguito il più classico degli insabbiamenti. E dire che la ricerca di un perché dovrebbe essere fatta insieme: non per combattere l’ennesima guerra fredda, peraltro sempre meglio che calda, ma per cercare di fare in modo che non accada più.

Che una pandemia globale derivante dagli effetti dell’Antropocene dovesse essere messa nel conto dal mondo superindustrializzato, molti tra scienziati e climatologi lo hanno sostenuto nel corso degli ultimi vent’anni. Semplicemente, i governi e le alte sfere decisionali non vi hanno dato peso e oggi cercano di affrontare la situazione limitando le perdite e cercando di imbroccare nuove opportunità di crescita post-crisi.

Ma a meno che non si consideri la pandemia un accidente della storia, o la punizione di un Dio severo e vendicativo, sarebbe utile cercare soluzioni scientifiche e ragionevoli a quanto accaduto. La scienza ci dice che di coronavirus pronti al salto di specie ce ne sono a migliaia. È di conseguenza ragionevole attendere altre crisi epidemiche nel prossimo futuro, soprattutto là dove le epidemie possono diffondersi con maggiore facilità.

Si parla tanto, e spesso a vanvera, di “transizione ecologica”. Ricordo ancora le intuizioni in materia del Club di Roma di Aurelio Peccei. Correva l’anno 1970. Il rapporto Peccei non lasciava spazio a dubbi circa i modelli di crescita dell’Occidente e le soluzioni ecologiche a cui indirizzarli, pena i disastri che nel mezzo secolo scorso si sono puntualmente verificati. Eppure siamo ancora qui: completamente diseducati a una ecologia del pensiero e delle azioni. Schiavizzati da modelli e comportamenti formati dal marketing e dalla pubblicità. Fortemente penalizzati da una crisi sanitaria che si è trasformata in tragedia umanitaria ed economica. E senza futuro, i più anziani, i quali hanno perduto persino le ambizioni ideali della propria gioventù.

Non sarà la generazione boomer a educare i più giovani all’ecologia. Sinceramente, non ne hanno titolo. Ai millennials, senza intermediazioni, toccherà il non facile compito di fare da soli. E di prevenire le future pandemie.