Discuteremo del Pd, anche del “suo simbolo, che amo. La mia personale scelta è perché il simbolo rimanga esattamente così com’è, perché racconta il servizio all’Italia”. “Ringrazio quanti mi hanno chiesto un impegno di più lungo periodo ma lo riterrei un errore per voi e per il partito: iniziato la mia militanza politica da giovane, sono stato ministro nel ’98 ed è giusto che il nostro partito metta in campo una classe dirigente più giovane in grado di sfidare il governo di Giorgia Meloni, una donna giovane”.
Il congresso deve avere “tempi giusti: non dev’essere né un X Factor sul miglior segretario da fare in quaranta giorni, ma nemmeno un congresso che rinvia alle calende greche. Vorrei che il nuovo gruppo dirigente fosse in campo con l’inizio della nuova primavera. Abbiamo bisogno di partire da marzo con una scelta significativa”. Lo ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, nella relazione alla direzione del partito, in corso al Nazareno.
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Avanti sulla via del congresso. Questa l’indicazione della Direzione Pd. “Non deve essere e non sarà un traccheggio, un rinvio e un rimpallo”, assicura Enrico Borghi, membro della segreteria di Enrico Letta. Dunque, si va. Del resto l’avvio del percorso congressuale, insieme all’analisi del voto, sono di punti messi all’odg della riunione. Letta nei giorni scorsi ha già delineato una sua proposta. La porterà in Direzione e, come sottolineato dal Nazareno, sarà una “proposta aperta, non un prendere o lasciare”.
A dire la sua, ci sarà il candidato segretario in pectore, Stefano Bonaccini. “Sarà a Roma e sicuramente interverrà”, dicono i suoi all’agenzia di stampa Adnkronos. Con un’indicazione precisa: tempi del congresso rapidi, no allo scioglimento o al cambio di nome, rigenerazione dell’identità del partito e rinnovamento classi dirigenti con più spazio ai territori.
Base Riformista, che guarda alla candidatura del presidente dell’Emilia Romagna, è in linea col governatore a dispetto di chi nel Pd ne vorrebbe ostacolare la candidatura. “Il nostro congresso è lungo nei suoi passaggi. L’importante è non andare oltre quelli stabiliti”, ovvero marzo 2023 da Statuto.
Nel frattempo anche il passato è ritornato a farsi sentire. Il primo segretario, Walter Veltroni, difende il Pd e lo rilancia: “In 14 anni il Pd ha perso circa sette milioni di voti: la prima cosa da fare non è allearsi con Conte o con Calenda, ma riallearsi con quei sette milioni di elettori”, dice Veltroni ricevendo numerosi ‘mi piace’ sui social. Specie dalle parti di Base Riformista.
Di tutt’altro segno l’intervista di Massimo D’Alema che sembra suggerire una scissione quando sostiene: “Il centrosinistra sarebbe molto più forte se avesse avuto un partito socialista e un altro di sinistra cattolico”. E quindi indica la via dell’abbraccio con Giuseppe Conte. Oggi il Pd “ha bisogno di Conte, perché non intercetta più il voto popolare”. E anche questa è una posizione che trova consensi tra i dem. E poi ci sono Pier Luigi Bersani e Peppe Provenzano, fotografati nei giorni scorsi insieme da Giolitti, che lanciano la proposta di rivedere il sistema delle primarie. Fuoco di fila di reazioni via social. Twitta Filippo Sensi: “Le primarie sono uno strumento. Insufficiente forse, come tutti gli strumenti. Ma sono il nostro strumento. A proposito di identità”.
Sul fronte candidature Paola De Micheli conferma di essere in corsa. “Il punto di vista femminile può essere un valore aggiunto per il Pd”. Mentre il vicesegretario Peppe Provenzano, dato tra i possibili competitor (insieme ad Andrea Orlando per l’area sinistra Pd), si è sfilato. “Peggio della sconfitta è la reazione alla sconfitta, una ridda di nomi e autocandidature. Io non mi candido. Un nome in meno. Un modesto contributo, prima della vera discussione che avvieremo domani in Direzione”. Ancora silente un’altra possibile candidata, la vicepresidente dell’Emilia Romagna, Elly Schlein.
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