È quasi trascorso il primo quarto del secolo e votiamo ancora come fossimo nel 1948. L’affluenza cala, cala costantemente, tutti i politici se ne lamentano e continuano a fare una benedetta cippa. Viviamo una fase già matura dell’era digitale. Usiamo il cellulare per fare di tutto: pagare la spesa, controllare il conto corrente, whatsappare con tutti ovunque nel mondo, acquistare i biglietti per andare a teatro o alla partita. E prenotare viaggi, vacanze, serate, appuntamenti.
I boomer nicchiano e ne sparlano per pigrizia, ma signori cari il mondo è questo e se non lo accettate cominciate a morire in anticipo, ad esempio rinunciando a scegliere con il voto, diritto non garantito da una forza superiore ma conquistato a fatica dai nostri avi, chi dovrà occuparsi di governare una parte non irrisoria delle nostre vite in comune. La maggioranza degli italiani ormai non vota più. Negare loro di poterlo fare in modo supersicuro, trasparente, controllato e pratico, semplicemente e velocemente, anche dal divano di casa, come invece si potrebbe fare spendendo certamente meno rispetto alle scuole occupate per giorni, col personale, la carta, i seggi e gli anacronistici cartelloni di ferraglia, è un’offesa al progresso e all’intelligenza umana.
È una fase talmente matura dell’era digitale tale da trasformare cittadini di ogni età e professione, classe dirigente compresa , in un branco si ebeti rincoglioniti che camminano a braccio teso con lo smartphone puntato in avanti… manca solo che si voti con quello.