Valerio Curcio, ‘Il calcio secondo Pasolini’

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Tifoso e calciatore, e non solo, è il Pasolini che emerge dal bel libro di Valerio Curcio. Un libro che si legge con leggerezza, condotti dall’autore nel mondo del calcio pasoliniano. Con la palla al centro, come centro di gravità permanente, Curcio seziona Pasolini e ce lo offre in capitoli: “Il tifoso”, “Il calciatore”, “Il narratore”, “Il cronista”, “L’intellettuale”.

Il giovane Pasolini, trasferitosi da Casarsa (Friuli) a Bologna – dopo «diversi spostamenti e traslochi per l’Italia settentrionale» – diventa un tifoso della compagine rossoblù, ne conosceva infatti tutta la formazione e aveva per Biavati, l’inventore del “doppio passo”, una venerazione. È in quel periodo che si appassionò al calcio «in ogni sua forma» non solo di quello giocato o da tifoso – quella «malattia che si contrae da giovane e dura tutta la vita» – ma da intellettuale, appunto, ormai affermato. In un’intervista a “L’Europeo”, pubblicata il 31 dicembre 1970, dirà: «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci» (p. 106). I tempi da allora sono mutati e il calcio, avverte Curcio, ha mantenuto «solo parzialmente il proprio ruolo», ma resta attuale il fatto che i tifosi «continuano a essere accusati per la vanità della propria fede».

Leggetevi, ad esempio, Febbre a 90′ di Nick Hornby e forse capirete o forse no. Nemmeno il Mago, Helenio Herrera, infatti, comprendeva, altrimenti non avrebbe affermato, in un’intervista rilasciata a Moravia: «Il calcio, e in genere lo sport, serve a distrarre i giovani dalla contestazione. Serve a tener buoni i lavoratori. Serve a non far fare la rivoluzione» (p. 100). Pasolini si stupisce che gli intellettuali di sinistra non avessero reagito a parole simili e ricorda, nell’intervista già citata, di Gerosa: «gliene ho dette quattro [a Herrera] più forte degli altri» (p. 117) Anche se più che dallo sport, che seguì anche come cronista per alcune partite della Roma o per le Olimpiadi di Roma del 1960, raccontate per conto del settimanale di area comunista “Vie Nuove”, era attratto dall’antropologia culturale applicata agli spettatori e non considerò mai lo sport, e il calcio in particolare, come circenses. In suo soccorso, qualche anno dopo (1975), venne Enrico Berlinguer in un’intervista a Ormezzano di “Tuttosport” il cui titolo riassume la posizione del segretario del Partito comunista italiano: Berlinguer: lo stadio non è oppio. E senza essere “nazionalista” o sciovinista Pasolini si domandava come si potesse augurare alla Nazionale di calcio, scrive Curcio, «di rivivere nuovamente il dramma sportivo dei mondiali del 1966 in Inghilterra, quando la Corea del Nord […] eliminò sorprendentemente l’Italia di Bulgarelli?» (p. 98).

Al Pasolini intellettuale abbiamo dato molto spazio, aspetto che Curcio, invece, mette in perfetto equilibrio con le altre facce di Pasolini sopra ricordate. È stato promotore della nazionale di calcio “Attori e Cantanti”, nel 1966, ulteriore prova del suo amore per uno sport che lo ha visto giocare dai campetti friulani agli stadi blasonati d’Italia passando per gli arsi campi della periferia romana, dove i poveri erano brutti perché i «poveri sono brutti» (p. 54).
Non perdeva occasione per organizzare una partita di pallone o per tirare due calci al pallone sempre in tenuta perfetta dagli scarpini alla divisa, spesso di colore rossoblu, un’eleganza suggerita dal desiderio di provocare l’Italia bigotta di quegli anni che la sua omosessualità turbava. Lo stesso spirito lo aveva guidato nei primi anni Sessanta nel girare il film documentario Comizi d’amore, una serie di interviste con domande poco calcistiche ai giocatori del Bologna.

Il suo amore per il calcio, per il calcio giocato non diverrà, però, narrazione, tema dominante, cioè, della sua attività intellettuale: non «gli dedicò mai uno spazio centrale nella sue opere letterarie» (p. 69). Se parla di calcio, come in Ragazzi di vita, lo fa perché il calcio è parte della realtà che sta narrando.

Per concludere, possiamo senz’altro dire che il calcio per Pasolini è una manifestazione di estetica maschile che non ammette, quindi, il calcio femminile (p. 126).
E possiamo chiederci, come chiosa finale, quale potrebbe essere la lettura antropologica di PPP delle attuali tifoserie molto propense ai cori razzisti e alle manifestazioni violente…
Completano il volume due interviste a Pasolini e una conversazione con Dacia Maraini.

Valerio Curcio, ‘Il calcio secondo Pasolini’, Aliberti 2018, pp. 140, 16,00 euro (recensione di Glauco Bertani).

Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia.

Colonna sonora:

Depeche Mode, Master And Servant

The Cure, Boys Don’t Cry

White Lies, Death

U2, One

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Stile narrativo
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Tematica
7
Potenzialità di mercato
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