“La verità processuale, in rapporto alla commissione di reati di enorme gravità e che non tollerano prescrizione, è uno dei compiti essenziali di uno Stato di diritto ed è quello che la magistratura è tenuta a offrire al popolo italiano, nel cui nome amministra giustizia. Esiste un diritto all’accertamento dei fatti, in casi di crimini di particolare gravità, che non si ricollega alle sole vittime, ma che appartiene all’intera collettività”.
È quanto scrivono i giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza che lo scorso gennaio ha reso definitiva la condanna all’ergastolo per l’ex componente dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) Gilberto Cavallini per la strage alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980, in concorso con gli altri ex Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
Come è noto, quella mattina alle 10.25 l’esplosione di una bomba alla stazione di Bologna causò 85 vittime e il ferimento di altre 200 persone, in quello che è ancora oggi il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. Per la strage è ancora in corso il processo a carico di Paolo Bellini, ex componente di Avanguardia Nazionale, anch’egli accusato di essere tra gli esecutori materiali e in attesa del terzo grado di giudizio – dopo la condanna all’ergastolo confermata dalla Corte d’appello di Bologna.
Il giudizio sull’ex Nar Cavallini, proseguono ancora i giudici nelle motivazioni, “si è celebrato a distanza di più di 40 anni dal tragico fatto delittuoso che ha scosso, nel profondo, la coscienza collettiva del nostro Paese. Verrebbe dunque da pensare che sia un mero esercizio storicistico, più che giuridico, con sostanziale inutilità di un processo penale. Invece così non è, se – e in quanto – la ricostruzione dei fatti non si limiti a essere un ‘affresco storico’, ma sia un atto capace di cogliere, al di là di ogni ragionevole dubbio, aspetto di verità sulla contestazione di concorso nel reato”.
There are no comments
Partecipa anche tu