Scegliere di stare “dalla parte buona”

don Giuseppe Dossetti CeIS mic

A Betania, a pochi chilometri da Gerusalemme, Gesù aveva degli amici, Marta, Maria e Lazzaro, e spesso si fermava a casa loro. Marta, la padrona di casa, si dava da fare per accogliere un amico così importante e per sistemare i suoi accompagnatori, affamati e rumorosi. Correndo di qua e di là, vedeva sua sorella intenta ad ascoltare il Maestro, rapita dalle sue parole piene di consolazione e di bellezza. Figuriamoci se la cosa non sarebbe piaciuta anche alla sorella maggiore, ma non era quello il momento. A un certo punto, Marta perde la pazienza e sbotta: “Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Lei non mi ascolta, forse a te darà retta: dille di aiutarmi!”. Gesù le risponde con una frase che va al di là dell’occasione: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose. Una sola è necessaria. Maria ha scelto di stare dalla parte buona”, cioè vicino a me(Luca 10,38-42).

Come tante altre parole di Gesù, anche questa sembra rivolgerci una domanda: “Tu, da che parte stai? Non è che, per caso, tu voglia stare da troppe parti, con la conseguenza che, alla fine, non stai da nessuna e la tua vita si disperde in mille episodi, in una sperimentazione che ti lascia vuoto e insoddisfatto?”

Gesù invita Marta e noi a stare dalla sua parte. Solo la sua parte è buona. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30). Il giogo, il legno che si metteva sul collo dei buoi per attaccarvi l’aratro, era l’immagine della legge mosaica, che era diventata un peso insopportabile. Gesù propone invece l’obbedienza alla sua via. Ma, prima di interrogarci su di essa, dobbiamo sciogliere una difficoltà.

Gesù chiede di stare dalla sua parte, come l’unica in grado di dare pace all’uomo. Non c’è il rischio del fanatismo unilaterale? E’ vero che è facile disperdersi e illudersi, in una ricerca senza fine e senza costrutto: ma non è questa la caratteristica dell’uomo, forse anche la sua grandezza, quella di essere il cercatore dell’infinito?

Tornando all’immagine del giogo, dobbiamo riconoscere che la libertà non consiste nella assoluta e continua disponibilità di se stessi: prima o poi, dobbiamo “legarci”, se vogliamo essere liberi. La libertà degli sposi non consiste nella debolezza del legame, nel rimetterlo continuamente in discussione. E’ vero che ogni giorno devo rinnovare la mia scelta; ma è anche vero che ogni giorno posso fare l’esperienza appagante di essere scelto.

Scegliere di stare “dalla parte buona”, nel pensiero di Gesù, è il contrario del fanatismo, perché richiede una fedeltà difficile. Lo è stato anzitutto per lui. “Stare dalla parte” del suo Dio, credere nella sua paternità, cercare e compiere la sua volontà, ha voluto dire per lui accettare persino la croce. La parte di Gesù è quella della mitezza e dell’umiltà del cuore, esattamente il contrario dell’arroganza e della sicurezza di sé, che porta alla violenza.

Il fanatico non si mette in discussione. Egli non ha dubbi, le ragioni sono tutte dalla sua parte. La via di Gesù, invece, che è quella dei profeti di Israele, è la conversione, cioè il dubbio su se stessi. Credo che anche Gesù sia passato attraverso la notte. Lo dice lui stesso, alle guardie che vengono per arrestarlo: “Questa è l’ora vostra e la potenza delle tenebre” (Lc 22,53). La via di Gesù comincia con la disciplina, per evitare la dispersione, lo sperimentalismo. Poi, però, la via diventa quella della fedeltà, spesso difficile, del ricominciare ogni giorno: fedeltà a se stessi, a quella voce che non possiamo soffocare, che chiede e nello stesso tempo promette. Infatti, se egli chiede di stare dalla sua parte, nello stesso tempo ci dice che lui sta dalla nostra. Lo sta nel modo radicale che è il senso dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue per voi, per te”.