Otto mesi senza piogge in Italia dalle Alpi alla Sicilia, ma anche le vittime dell’alluvione nelle marche: e se i futuri migranti a causa del clima avverso fossero proprio gli italiani? Due terzi delle terre coltivate in Africa si stanno desertificando: quanti milioni di persone saranno costrette a migrare? E, in definitiva, come stiamo affrontando le emergenze climatiche e come ci stiamo preparando ad invertire la rotta rispetto a quella che il Segretario generale dell’ONU ha definito “la strada del caos climatico irreversibile”?
Sono queste alcune delle domande emerse dal convegno sui “Popoli rabdomanti” organizzato dalla cooperativa sociale L’Ovile per parlare di interi popoli spinti fuori dalle loro terre da eventi climatici avversi (250 milioni di persone entro il 2050 secondo l’International Displacement Monitoring Agency).
Un appuntamento, all’Aula Magna di Unimore, caduto, non casualmente, alla vigilia dell’apertura della 27.ma conferenza sul clima convocata dall’Onu per parlare, soprattutto, di finanza legata al clima, e più precisamente dei 685 miliardi di debiti che i Paesi più poveri del mondo hanno contratto con le nazioni più ricche per affrontare emergenze climatiche.
Tante domande, come si diceva, ma con risposte non sempre incoraggianti, soprattutto a proposito del cosa si sta facendo e come si sta affrontando un’emergenza clima che, ogni anno, causa decine di migliaia di vittime, fughe di un’umanità sofferente da una terra all’altra, condizioni di invivibilità di in porzioni sempre più ampie del pianeta.
Lapidaria, al proposito, la risposta delle giornalista Francesca Santolini: “non ci stiamo preparando”, e non molto dissimile la valutazione del noto climatologo Luca Mercalli, secondo il quale, per quanto le politiche possano essere rapide, una parte dei cambiamenti climatici continuerà (l’innalzamento del livello dei mari sarà comunque di 40 centimetri a fine secolo se si conterrà la temperatura, altrimenti scompariranno intere città costiere), rendendo indispensabili sia le immediate azioni a contenimento del surriscaldamento del pianeta, sia azioni di adattamento che si progettano e si realizzano lentamente e non quando si giunge a fasi di emergenza.
Moniti, allarme e considerazioni che certamente alzano l’attesa rispetto alla conferenza internazionale iniziata a Sharm el-Sheikh, ma chiamano tutti – istituzioni, comunità e singole persone – a nuove consapevolezze sulle sofferenze diffuse e in aumento nel mondo e, pertanto, a nuovi sguardi e azioni solidali rispetto a milioni di persone che chiedono – come ha detto il presidente de L’Ovile, Valerio Maramotti – ascolto e accoglienza.
Lo stesso sguardo – ha ricordato il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi – che ha portato, 30anni fa, alla costituzione della cooperativa l’Ovile e allo sviluppo di tante cooperative sociali in terra reggiana; realtà che non si sono sostituite, ma sono cresciute insieme al pubblico, dando vita, tra l’altro, a quell’accoglienza diffusa che rappresenta una delle più grandi esperienze di innovazione sociale degli ultimi decenni.
Al convegno promosso da L’Ovile in apertura delle celebrazioni del trentennale di fondazione della cooperativa sociale, come si è detto, è intervenuto Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico, insieme a Francesca Santolini, giornalista e divulgatrice ambientale, Sabika Shah Povia, giornalista, Lucia Ghebreghiorges, esperta di comunicazione istituzionale e advocacy nel campo dei diritti umani; a moderare è stato Edoardo Tincani, direttore del settimanale diocesano La Libertà.
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