Pronto lo schema di decreto sui vini generici, ma la Regione protesta: “Troppo penalizzante per l’Emilia-Romagna”

agricoltore vigna vino

L’assessore all’agricoltura della Regione Emilia-Romagna Alessio Mammi ha commentato negativamente la bozza di decreto sulle rese dei vini generici inviata dal Ministero per le politiche agricole alle Regioni, che prevede una riduzione della produzione massima per ettaro di uva da 50 a 30 tonnellate, con la previsione di una deroga a 40 tonnellate per ettaro per i territori particolarmente vocati a questa tipologia di produzione.

“Penalizzare i vini generici è un errore – ha spiegato l’assessore Mammi – perché hanno canali commerciali diversi rispetto a quelli Dop e Igp, non creano giacenze e rispondono a una domanda in espansione, anche a seguito della crisi. Imporre una limitazione determina quindi una riduzione dell’offerta interna, favorendo l’ingresso di vini della stessa categoria prodotti in altri Paesi sia comunitari che extra-UE, creando ulteriore danno all’economia nazionale. Senza considerare l’onerosità del controllo, in un settore già soffocato dalle regole”.

Per “vini generici” si intendono i cosiddetti vini da pasto, solitamente venduti a prezzo contenuto, che nelle province emiliano-romagnole sono prodotti in grandi quantità e che sono arrivati negli anni a un equilibrio tra costi e ricavi. La riduzione delle produzioni non lascerebbe spazio alle diverse caratterizzazioni produttive che ciascun territorio ha sviluppato, vanificando scelte di politica regionale costruite nel tempo. Un’altra conseguenza riguarderebbe la penalizzazione di migliaia di piccoli e medi produttori agricoli, che hanno realizzato investimenti impegnativi, e di importanti realtà cooperative con migliaia di soci, che hanno costruito solide filiere interregionali e creano valore per i territori.

La produzione di questi vini impegna circa il 50% delle superfici vitate dell’Emilia-Romagna, con circa 4 milioni di ettolitri su un valore nazionale di circa 15 milioni di ettolitri. I criteri di individuazione delle aree in deroga ipotizzati nell’ultima versione del decreto ministeriale determinerebbero una perdita per i produttori stimata in 9 milioni di euro all’anno, senza contare le perdite lungo la filiera e senza apparenti vantaggi su altri fronti.

Un’eventuale applicazione già a partire dalla campagna vitivinicola in corso, inoltre, non darebbe agli agricoltori il tempo tecnico di adattamento necessario per cercare di mitigare il danno, dal momento che la limitazione della produzione passa soprattutto attraverso la potatura e la concimazione, operazioni colturali oggi già quasi completamente concluse.