Dall’8 al 10 settembre 1893 si svolse a Reggio Emilia il secondo Congresso nazionale del Partito dei Lavoratori Italiani, nato a Genova l’anno precedente. Al Politeama Ariosto, allestito con molti fiori e una gigantografia di Marx sullo sfondo del palco, convennero 250 congressisti in rappresentanza di 262 sodalizi aderenti.
Il caloroso saluto dei socialisti reggiani fu portato da Antonio Vergnanini, il quale si augurò che i lavori congressuali potessero svolgersi nella massima unità d’intenti per rispondere positivamente alle necessità e alle attese del proletariato.
Il primo problema posto e subito risolto fu la partecipazione o meno degli anarchici ai lavori congressuali. Poiché a Genova i seguaci di Malatesta si erano staccati dal partito e ne avevano fondato un altro, tra l’altro con lo stesso nome, apparve a tutti chiaro essere tale richiesta inammissibile.
Il Congresso di Reggio Emilia rappresentò il vero atto costituivo del partito, al quale aderirono anche i socialisti romagnoli di Andrea Costa. Fu sempre in quella occasione che, su proposta di Zirardini, al nome del partito venne aggiunto la specificazione di socialista, diventando quindi Partito socialista dei Lavoratori Italiani.
La scelta di Reggio Emilia fu certamente dovuta al riconoscimento del ruolo avuto da Prampolini al congresso di fondazione di Genova e nel suo attivismo propagandistico capace di creare nel reggiano una poderosa rete associativa, difficilmente riscontrabile in altre realtà. Non deve essere inoltre sottovalutato l’apprezzamento dimostrato dal partito alla funzione d’orientamento interregionale del giornale La Giustizia, fondato e diretto dallo stesso Prampolini.
Per queste ragioni gli fu assegnato l’importante incarico di relatore sulla questione politica. I temi posti all’Ordine del giorno del dibattito congressuale erano considerati strategici per il futuro del partito. Lo scopo del congresso era, infatti, quello di deliberare il programma tattico dell’azione politica, elettorale e parlamentare.
In merito al rapporto da tenere con i partiti e le forze sociali affini, Prampolini sostenne la necessità di affermare la tattica intransigente che escludesse, salvo casi particolari e per particolari e non più rinviabili riforme sociali, l’alleanza con i partiti borghesi.
In quel particolare momento storico, pur in una logica gradualista, gli parve cioè prioritario rafforzare l’identità del partito, l’organizzazione dei lavoratori e la loro convinzione a proseguire la lotta di classe, perché si rendessero pienamente consapevoli che la loro emancipazione dipendeva esclusivamente dal frutto del loro lavoro.
La dimostrazione più evidente della forza e dell’efficacia dell’organizzazione, fu l’inaugurazione, a margine dei lavori congressuali, della nuova sede della cooperativa di consumo a Massenzatico, alla quale fu dato il nome di “Casa del popolo”.
Alla solenne cerimonia parteciparono diecimila lavoratori, oltre a una folta rappresentanza dei massimi dirigenti nazionali, tra cui Prampolini, Vandervelde, Turati e Ferri.
Tale evento contribuì come pochi altri ad arricchire le tante forme di socialità partitica, che dal quel momento in poi avrebbero preceduto o seguito i maggiori appuntamenti politici. Parliamo dei cortei con fanfare, bandiere e vessilli di partito, l’attenzione all’apparato scenico in cui si svolgevano gli eventi, i balli domenicali presso la Lega socialista posta a Palazzo Ariosto.
Molti circoli anche quelli delle località più periferiche erano soliti allestire veglioni danzanti per festeggiare particolari eventi, come l’anniversario de La Giustizia o la festa del 1 maggio. Immancabilmente si chiedeva ai presenti un contributo per sostenere l’organizzazione del partito e le nuove iniziative politiche.
Sul tema dei rapporti con i partiti affini furono presentati due ordini del giorno: uno dal Consolato operaio milanese che si schierava per la più netta intransigenza e l’altro, che in sede di votazione prevalse, da Croce e dallo stesso Vergnanini, che ribadiva la linea di rigidità pur ammettendo qualche possibile eccezione.
Sul tema del rapporto tra gruppo parlamentare e partito fu approvato all’unanimità l’Ordine del giorno presentato da Lazzari nel quale si sostenne che “I deputati nel parlamento sono i delegati del partito.
Essi debbono riunirsi in frazione parlamentare onde coordinare l’azione di ogni singolo con quella di tutti e rappresentare un tutto compatto contro l’organizzazione e la rappresentanza borghese”.
Questo O.d.G. venne, su proposta di Cabrini allargato e applicato anche all’azione amministrativa.
Non ci sono commenti
Partecipa anche tu