I più esperti la trattano con sufficienza: troppo leggera, una boccata d’aria e basta, effetti psicoattivi paragonabili alla sigaretta elettronica. In pratica, una ciofeca a confronto dei messicanoni di un tempo fatti di maria buona, un tocco di fumo e qualche briciolo di tabacco.
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Eppure la cannabis light versione legale, ossia lo sdoganamento del vecchio spinello all’italiana, ha un suo pubblico in crescita, migliaia di ettari di terreno agricolo già da tempo convertito alla coltivazione della preziosa pianta, un sistema di distribuzione capillare e un sacco di imprenditori più o meno giovani che aprono negoziati ad hoc in tutta Italia.
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Ovviamente è successo anche a Reggio, dove il pubblico dei cannaioli non passa mai di moda: e sebbene i puristi storcano il naso, e preferiscano rifornirsi sul mercato clandestino, per molti (e molte) la facilità e la comodità di una canna legale, comprata in negozio senza complicazioni e senza pericoli di finire nei guai rappresenta un’occasione di shopping alla bisogna.
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L’episodio più divertente di questa microinvasione dello spinello a bassa intensità ha per protagonista la Curia vescovile, la quale suo malgrado – o, per meglio dire, a sua insaputa – nei giorni scorsi ha incautamente affittato un localino di sua proprietà all’inizio di via Toschi a Reggio, in pieno centro storico, a pochi metri dal municipio e dal duomo.
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I titolari del negozio – aria da ragazzi perbene, coltivatori in proprio, tutto in regola, un’offerta che spazia dalle creme alle tisane alle mille forme di utilizzo della cara buona vecchia canapa – si sono visti recapitare una lettera proveniente dal Vescovado in cui si contestava la validità del contratto di affitto stipulato a suo tempo in quanto non conforme ai principi generali della proprietà. In sintesi: non è bello vendere erba in un negozio di proprietà della Chiesa italiana.
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Il punto è che gli esercenti non hanno alcuna intenzione di recedere dal contratto, anche perché gli affari vanno piuttosto bene, e a quanto sembra non vi sono appigli legali affinché li si possa sloggiare. L’avvocato dei titolari ha inviato una lettera al vescovo dove, citando un passo della Bibbia in cui si evocano le virtù della canapa, ha fatto sapere che il contratto è pienamente valido e ha la durata di sei anni più sei.
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Come reagirà, a questo punto, monsignor Camisasca? Da uomo di mondo, è probabile che lasci perdere le proteste montate in Curia e si concentri sugli affari più seri della diocesi (il destino del seminario, anzitutto, sul quale ha stretto un patto di ferro con il sindaco Vecchi per una destinazione d’uso universitaria ad alto valore aggiunto). In fondo, l’erba del vescovo è sempre più verde.
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