Le perdute libertà quotidiane

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Il problema più grave col quale le cittadine e i cittadini reggiani si sono trovati ad aver a che fare negli ultimi dieci anni è stato, epidemia a parte, l’arretramento delle condizioni esistenziali di sicurezza sociale determinato in gran parte dalle conseguenze di un’immigrazione rapida ed eccessiva avvenuta a partire dalla fine del secolo scorso.

La base culturale e che anima storicamente la sinistra di governo locale, sia essa di origine postcomunista o cattolica, e la carica non priva di dogmatismi che ne deriva, ha sinora impedito lo sviluppo di una seria discussione politica sull’argomento. Il timore di assecondare temi tipici della destra italiana in materia di rifiuto dell’altro, tale da sfociare talvolta in aperte forme di ostilità verso l’immigrato e posizioni diffuse di razzismo, ha reso la questione spinosa e circondata da ipocrisia.

Dal sindaco in giù, nessun soggetto del potere amministrativo locale riesce a usare le parole corrette per analizzare un fenomeno che ha violentemente ristretto i margini di libertà personale di decine di migliaia di persone, invariabilmente le più deboli: donne di ogni età e anziani, come quel signore che giorni fa ha cercato di fare rispettare le regole a bordo di un bus cittadino. Egli ha mostrato civiltà e coraggio, dinanzi alla tracotanza di un giovane meritevole di pena, e certamente sarebbe potuto finire in guai più seri.

La sicurezza personale, anzitutto. Ciò che fu certo e dato per scontato fin dall’infanzia, ovvero la serenità nel vivere a casa propria, circolare senza problemi per strada, spostarsi in bicicletta, uscire anche la sera senza particolari timori, è accaduto sino alla fine del Novecento. Questa libertà, insieme al senso di sicurezza garantito da un comune senso di buona educazione e al rispetto reciproco, adolescenti e giovani compresi, si è velocemente perduta nel volgere di una sola generazione.

Vogliamo essere chiari, senza essere accusati di ostilità verso la cosiddetta società multiculturale? Allora dobbiamo riconoscere che una donna, sia giovane o sia anziana, oggi a Reggio Emilia non è più libera di uscire da sola, soprattutto a tarda ora, praticamente a ogni angolo della città. Una donna sola rischia di essere vittima del branco, di un ubriaco, di uno sbandato, di qualsiasi malintenzionato certo di non essere perseguito per i propri comportamenti. Chiedete a una donna se si senta al sicuro quando, anche nelle ore diurne, si reca a un bancomat. Le zone intorno ai bancomat sono spesso controllate da individui non esattamente raccomandabili. Ritirare contanti in solitudine è assai pericoloso, e non solo per le donne.

Vogliamo occuparci dello squadrismo imperante laddove si muovano le cosiddette baby-gang? Credete forse che sia un problema legato al ghetto della stazione vecchia e poco più? In realtà, ogni quartiere ha problemi in fase di intensificazione. La percezione di insicurezza cresce costantemente. E la politica locale, assai adusa ad edulcorare le condizioni autentiche delle aree urbane, si perde in considerazioni accademiche quasi che degrado, intimidazioni e violenze fossero fenomeni congeniti alle nostre società europee e che di conseguenza non vi siano alternative.

È perfettamente inutile manifestare in piazza contro la violenza sulle donne in termini puramente astratti, condizionati dai media e dalla propaganda politica, quando poi non si tutelano i diritti fondamentali delle donne (e degli anziani, i più fragili) nella vita semplice e sostanziale del proprio essere in questo mondo.

A Reggio ci si vanta di possedere la migliore educazione del mondo, l’integrazione sociale, addirittura la creatività, oltre al sempre di moda tema dei “diritti”. Spiace dirlo, ma sono chiacchiere. L’enorme immigrazione vissuta da Reggio Emilia tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Duemila, quando la città crebbe in venticinque anni del 35% in misura di residenti, è figlia di una disastrosa programmazione e di abissali spazi di ignoranza in materia urbanistica delle amministrazioni che furono.

Oggi si commettono gli stessi errori, ancora per ragioni politiche. Suggerisco la lettura di “Sottomissione”, grande romanzo di Michel Houellebecq, che efficacemente racconta l’Europa di domani. A meno che la politica non ritrovi il proprio senso di esistere, scevra di propaganda e schiettamente indirizzata al buon governo della società, ciò che narra lo scrittore francese si tradurrà velocemente in azione anche in Italia, e prima degli altri, sorprendentemente, in città modello Reggio Emilia.




C'è 1 Commento

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  1. PB

    Bravo, Direttore, e soprattutto grazie. Hai detto con chiarezza ed equilibrio quello che proviamo anche mia moglie ed io, non più giovanissimi abitanti del centro storico. Un’amica non italiana ci disse, non molto tempo fa, che noi reggiani siamo troppo buoni. Da reggiano, io direi “trop boun e trop cojoun”.


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