La Kuliscioff e il suffragio universale

Anna-Kuliscioff

La battaglia per la conquista del voto per uomini e donne di qualunque ceto sociale, vide impegnata in prima linea Anna Kuliscioff fin dal 1908. La compagna di Turati era fermamente convinta che il suffragio universale dovesse essere esteso anche alle donne e che il programma del partito dovesse prevedere anche questa battaglia di civiltà.

Al fianco di Anna si schierò il gruppo femminile socialista di Milano, composto da note militanti come la Clerici, la Malnati, la Momigliano, la Altobelli e la Marconi.
I circoli e i comitati femministi pubblicarono opuscoli, giornali, tennero comizi, organizzarono manifestazioni e conferenze per coinvolgere tutte le donne dell’industria e della campagna. Non trascurarono nulla, giungendo perfino a rappresentare spettacoli teatrali come la commedia di Robins “Il voto alle donne”, andata in scena a Roma.
Tutto questo ebbe anche un’eco internazionale, tanto che al congresso internazionale delle donne socialiste di Copenaghen del 1910 venne presentata sull’argomento, una relazione della stessa Kuliscioff.

Due fatti molto importanti caratterizzarono il 1912. A gennaio uscì il primo organo ufficiale delle donne socialiste, il quindicinale, diretto dalla Kuliscioff, La Difesa delle lavoratrici, mentre a luglio fu convocato il primo congresso delle donne socialiste, che sancì la nascita della “Unione nazionale delle donne socialiste”. Il giornale fondato dalla Kuliscioff chiuderà definitivamente nel 1925, dopo 23 anni di battaglie, a seguito delle leggi “fascistissime” varate dal governo di Mussolini.

La posizione espressa dalla Kuliscioff apparve tuttavia talmente intransigente da non convincere nemmeno i compagni a lei politicamente più vicini. Questi erano ancora legati alla vecchia convinzione che le donne, impreparate e immature politicamente, sarebbero state convinte dagli esponenti clerico- moderati a non fidarsi dei socialisti e quindi a non votare per loro.
L’allargamento del voto alle donne, questa era l’opinione della maggioranza del partito, non avrebbe comportato nessuna influenza immediatamente benefica per l’ancor pigra coscienza politica e di classe delle masse proletarie femminili.


Favorevolmente invece si espressero i giovani socialisti che seppero legare la questione del suffragio universale alle loro posizioni antiministerialiste e antimilitariste.
Questi dissensi e queste contraddizioni interne si rivelarono determinanti in occasione del voto di fiducia al governo Luzzatti il 30 aprile 1910. La sua proposta di riforma del sistema elettorale prevedeva l’allargamento del suffragio grazie ad una verifica più blanda della capacità di leggere del potenziale elettore. Si calcolò che tale riforma avrebbe portato al raddoppio del numero degli elettori. Quelle previsioni parvero ai socialisti un notevole passo in avanti che non doveva essere disperso.

Il carattere laico di tutto il suo programma governativo lo portò poi ad ottenere un largo consenso parlamentare.

Anche il gruppo socialista, dopo parecchie perplessità, decise di votare a favore. La contrarietà della Kuliscioff non si fece attendere e fu rivolta anche al suo compagno Filippo Turati. Per lei e le altre compagne con quel voto si erano sacrificati i legittimi diritti delle donne, si sarebbero vanificate tante battaglie e altrettante delibere congressuali. Tutto ciò non poteva accadere per un semplice calcolo di convenienza elettorale.

In ogni caso, la lentezza nell’attuazione del programma, portarono presto i socialisti a prendere le distanze da Luzzatti, contribuendo in modo decisivo alla caduta del governo.
A Luzzatti subentrò Giolitti che pose sul tavolo due importantissime riforme. Si trattava del suffragio universale maschile allargato anche agli analfabeti, a patto che avessero svolto il servizio militare e avessero più di trent’anni (legge del 30 giugno 1912 n.666).
Tale riforma triplicò il numero degli elettori. Solo nel 1918 l’età sarà abbassata a 21 anni.
I socialisti guardarono con simpatia a tale proposta anche perché con l’avanzare della questione meridionale, come affermò Salvemini, l’estensione del diritto di voto anche agli analfabeti avrebbe contribuito a rompere le clientele e i loro interessi.

La seconda riforma proposta da Giolitti prevedeva la istituzione di un monopolio di stato per l’assicurazione sulla vita, che avrebbe devoluto i suoi utili alla casse di previdenza per le pensioni operaie. Per realizzare tutto questo Giolitti chiese la partecipazione dei socialisti al governo.
Turati però per timore d’essere isolato e non compreso nel partito, specie dalla sua base, declinò l’invito di Giolitti.

A quel punto l’incomprensione tra Bissolati, Bonomi, Cabrini e i loro amici e il resto del partito giunse al punto di non ritorno. La rottura si concretizzò con la loro espulsione al congresso nazionale del PSI di Reggio Emilia nel 1912, dove emerse l’uomo nuovo del PSI: Benito Mussolini.
Il suffragio universale esteso alle donne, di conseguenza, poteva ancora attendere. E, in effetti, le donne attesero fino al 1946 per poter esprimere il loro primo voto. Altri e più urgenti problemi incombevano sugli italiani: la guerra di Libia in corso e il probabile entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale.




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