Il confinamento ci renda più buoni

Don Giuseppe Dossetti

“Fatevi coraggio a vicenda”, è l’esortazione di san Paolo in questa domenica della SS. Trinità. Forse, quest’anno, riusciremo a entrare un p0’ di più nel grande mistero dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Infatti, siamo abituati a ragionare secondo la matematica, per la quale è impossibile che l’uno sia tre e viceversa. In questi giorni, abbiamo però sperimentato la terribile solitudine dell’uno: l’uno ridotto a monade, chiuso nel suo bozzolo di incomunicabilità, circondato da macchine e non da persone.

In questa desolazione, qualcuno è stato in grado di spezzare i muri; qualcuno ha addirittura pagato con la sua vita il prendersi cura dell’uomo. L’amore fattivo, concreto, ha aperto le porte del carcere, nel quale un po’ tutti eravamo rinchiusi. Abbiamo usato, pudicamente, la parola inglese lockdown, per essere meno colpiti dal suo corrispondente italiano, “confinamento”.

Questi gesti di generosità, di coerenza con le proprie scelte professionali, ci hanno fatto sperimentare un altro modo di essere uno, quello basato sull’amore.
La parola usata più spesso dalle persone più illuminate del nostro Paese è stata “insieme”.

Provo grande gratitudine per il Presidente Mattarella. Nel suo discorso per la Festa della Repubblica, ha detto: “Sarebbe inaccettabile e imperdonabile disperdere il patrimonio, fatto del sacrificio, del dolore, della speranza e del bisogno di fiducia che c’è nella nostra gente. Ce lo chiede, anzitutto, il ricordo dei medici, degli infermieri, degli operatori caduti vittime del virus nelle settimane passate…

Questo giorno interpella tutti coloro che hanno una responsabilità istituzionale – a partire da me naturalmente – circa il dovere di essere all’altezza di quel dolore, di quella speranza, di quel bisogno di fiducia … C’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite. Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro. Una generazione con l’altra. Un territorio con l’altro. Un ambiente sociale con l’altro. Tutti parte di una stessa storia. Di uno stesso popolo”.

Non è strano che sia il dolore ad aprire le porte del “confinamento”. Così ha fatto Dio. Noi facciamo memoria della Trinità, quando compiamo il gesto elementare della nostra religione, il segno della croce. E’ la croce la chiave che Dio usa perché gli si riconosca il diritto di entrare nella storia dell’uomo, per essere insieme con noi; nello stesso tempo, è attraverso il sacrificio, il dono, che noi possiamo essere con Lui, sperimentare quell’unità, quella comunione, che dall’eternità si apre per accogliere il nostro tempo.

Nei mesi precedenti l’inizio dell’epidemia, abbiamo ascoltato troppe parole violente. Ancora oggi, sembra che sia più facile spegnere i focolai del virus, rispetto agli scontri e alle violenze che vediamo in giro per il mondo. C’è bisogno di un’appassionata ricerca del bene comune; c’è bisogno di quel modo quotidiano di vivere la speranza che è la mitezza. La ricompensa sarà la gioia dell’unità vera, non quella di una superba autosufficienza.

Facciamoci coraggio a vicenda. E’ anche lo scopo di queste mie lettere, ma anche delle telefonate che ciascuno di noi può fare a chi ancora è prudente che non esca. Ci incoraggiano anche quei giovani, che si sposano in questi giorni, come del resto i genitori che portano i loro bambini al Battesimo. Coraggio, amici, facciamo in modo che questa dura lezione ci renda più buoni. A presto.