Lunedì 9 maggio, in occasione della giornata nazionale in memoria delle vittime del terrorismo, a Modena si è svolta una cerimonia commemorativa per ricordare Aldo Moro e Marco Biagi. Nella vicina Reggio, invece, non risultano essere state organizzate iniziative ufficiali di commemorazione.
Sono stati due, come di consueto, i momenti in cui si è articolata la giornata modenese: in largo Aldo Moro è stata deposta una corona di fiori presso la stele che ricorda lo statista rapito e ucciso, mentre altri fiori sono stati deposti davanti alla lapide apposta sulla sede della Fondazione Marco Biagi, nel piazzale intitolato proprio al giuslavorista bolognese.
Moro fu assassinato il 9 maggio del 1978 dalle Brigate Rosse, 55 giorni dopo il suo sequestro, avvenuto in via Fani, a Roma, con la contestuale uccisione dei cinque uomini della sua scorta (Oreste Leonardi, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Domenico Ricci); Biagi, invece, fu ucciso ventiquattro anni dopo, il 19 marzo del 2002, a Bologna, davanti alla sua abitazione in via Valdonica, da un commando di terroristi appartenenti alle Nuove Brigate Rosse.
Alla commemorazione modenese hanno partecipato il vicesindaco Gianpietro Cavazza, la prefetta Alessandra Camporota, il presidente della Provincia di Modena Gian Domenico Tomei e il rettore dell’Università di Modena e Reggio Carlo Adolfo Porro, oltre a monsignor Giuliano Gazzetti, vicario generale dell’arcidiocesi di Modena e Nonantola, che ha recitato una preghiera. Erano presenti inoltre il procuratore capo Luca Masini, il colonnello Antonio Caterino (comandante provinciale dei carabinieri), la questora Silvia Burdese, il colonnello Adriano D’Elia (comandante provinciale della Guardia di finanza), il generale di divisione Davide Scalabrin (comandante dell’Accademia militare di Modena) e il comandante della polizia locale Roberto Riva Cambrino.
Nelle stesse ore Marina Orlandi, vedova di Biagi, parlando alla Camera dei deputati ha bollato come “imperdonabile” l’aver tolto la scorta al marito nonostante non fossero ancora stati identificati e catturati i responsabili dell’omicidio di Massimo D’Antona, avvenuto tre anni prima dell’agguato fatale al giuslavorista bolognese.
Orlandi ha anche ricordato come il marito fu “scelto come bersaglio” per il ruolo di consigliere dell’allora ministro del lavoro Roberto Maroni e del presidente della Commissione Europea Romano Prodi, e come membro della commissione che studiava la riforma del mercato del lavoro. Incarichi che, secondo la moglie, portarono a una svolta: “I servizi lo segnalarono come persona ad alto rischio. Gli venne assegnata una scorta, che sciaguratamente gli fu tolta nel 2001. Era il coordinatore del Libro Bianco, da discutere con le parti sociali, per migliorare il mercato del lavoro. L’accesissimo dibattito aveva reso rovente il clima”. Biagi, ha proseguito Orlandi, “si riteneva un servitore dello Stato e non di una parte politica: voleva migliorare con i fatti le condizioni di lavoro dei più deboli e non con il fondamentalismo, che anche oggi è una zavorra. Cercava la mediazione, e per questo ne è rimasto vittima”.
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