Epifania, la ricerca e la manifestazione

Don Giuseppe Dossetti

Più o meno tutti sappiamo che “epifania” viene dal greco e significa “manifestazione”. Gesù, nella sua nascita, si manifesta al popolo d’Israele, rappresentato dai pastori; oggi, si manifesta ai popoli pagani, rappresentati da questi “magi”, astrologi probabilmente babilonesi. Gentile da Fabriano, nel suo famoso quadro dell’Adorazione, li rappresenta fastosamente vestiti, con grande e ricco corteo. In realtà, invece, i loro colleghi li avranno considerati un po’ fuori di testa: intraprendere un viaggio così lungo, alla loro età, e solo perchè avevano visto una stella! La loro vicenda è in certo qual modo commovente, ma ciò non toglie che la scena sia sproporzionata rispetto al nome che le vien dato: epifania, manifestazione ai popoli, a tutti i popoli.

Infatti, dopo qualche giorno, la loro comparsa viene dimenticata e il silenzio cala su quella piccola e povera famiglia, che dovrà fuggire in Egitto e poi ritirarsi a Nazaret, uno dei posti più periferici del grande impero. Un giorno, quel bimbo divenuto uomo subirà una manifestazione, dichiarata dal cartello appeso alla sua croce: “Questi è il re dei Giudei”: non vittoria, ma sconfitta, di fronte ai grandi poteri del mondo, ancora una volta alleati tra loro, per mettere una pietra, pesante e inamovibile, e così archiviare non solo l’uomo, ma anche quel Dio che osava rivendicare la sua presenza nella storia.

Come mai, allora, la vicenda dei Magi conserva tanto fascino? Penso che la ragione sia stata colta da Pascal: “Io biasimo ugualmente coloro che abbracciano il partito di lodare l’uomo, coloro che preferiscono biasimarlo, e coloro che preferiscono divertirsi; e non posso approvare se non coloro che cercano gemendo”. Alla prima categoria appartengono i seduttori, i rivoluzionari; alla seconda, i moralisti; alla terza, coloro che vogliono dominare sull’uomo, allettando i suoi istinti. Rimangono quelli che “cercano gemendo”. Costoro si riconosceranno senz’altro in quella stella, che scompare nella confusione delle luci della città, ma che si ripresenta, appena riprendono la via del deserto. Essi non sanno ancora se e dove arriveranno, ma basta quel piccolo lume per riempirli di gioia ridondante: “Gavisi sunt gaudio magno valde, gioirono grandemente di una grande gioia”.

Solo questa manifestazione è degna dell’uomo, perché gli chiede l’umiltà di conoscere se stesso e la propria povertà, e il coraggio del rischio, della ricerca. Questo vale anche per chi è giunto a Betlemme e ha ricevuto il dono della fede. Giustamente, sant’Agostino dice: “Dio è nascosto, perché, per trovarlo, lo si debba cercare; ed è immenso, perché una volta trovato, lo si cerchi ancora”. E’ nella ricerca che sta la grandezza dell’uomo e la ragione della universale fraternità che ci riunisce.

Per questo, Benedetto XVI vedeva nell’Epifania un’anticipazione della Pentecoste: “L’arrivo dei Magi dall’Oriente a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è il segno della manifestazione del Re universale ai popoli e a tutti gli uomini che cercano la verità. E’ l’inizio di un movimento opposto a quello di Babele: dalla confusione alla comprensione, dalla dispersione alla riconciliazione. Scorgiamo così un legame tra l’Epifania e la Pentecoste: se il Natale di Cristo, che è il Capo, è anche il Natale della Chiesa, suo corpo, noi vediamo nei Magi i popoli che si aggregano al resto d’Israele, preannunciando il grande segno della “Chiesa poliglotta”, attuato dallo Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua”.

L’uguale dignità degli uomini, la loro fraternità, la responsabilità che ciascuno di noi ha verso tutti è ben rappresentata dalle statuine del presepio: Baldassarre, Gaspare e Melchiorre hanno tratti europei, africani e orientali. Tutta l’umanità è convocata, per contemplare la debolezza di Dio. Tornando a casa, come i Magi, alla nostra quotidianità, la dolcezza di questo amore ci renda più buoni: ci sia concesso di riconoscere in ogni uomo quella piccola luce e di sentirci fratelli. Non è un caso che “Fratelli tutti”, il titolo dell’ultima lettera del Papa, sia una parola di Francesco d’Assisi, colui che per primo rappresentò nel presepio la grande storia di Dio con l’uomo.