A chi giova l’allarmismo

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Tg e giornali fanno a gara di allarmismo. Stamani la prima pagina di Repubblica ospita un grafico terrificante che mostra la crescita esponenziale dei contagi Covid dallo scorso luglio ad oggi. Lo sbalzo mette proprio paura anche perché non specifica la differenza tra il numero di tamponi eseguiti tra l’una e l’altra data. E non dice nulla riguardo la condizione di chi risulti positivo al test: un contagiato non è da considerarsi un malato, tantomeno un ricoverato in terapia intensiva, tantomeno, come è ovvio, una vittima. Ma ora i media giocano con i numeri conteggiandoli diversamente dai mesi del lockdown: il contagio somiglia tanto a una diagnosi di pre-morte.
Tanto furore non si giustifica con la situazione generale registrata nel resto d’Europa. Tra le grandi nazioni del continente l’Italia è quella messa meglio. La Francia ha scelto il coprifuoco localizzato nelle principali città. Immaginare la Ville Lumière tutta spenta dalle nove di sera mette un certo senso di angoscia. Ma Parigi non è Milano. I contagi in Francia vanno a velocità tripla rispetto all’Italia. Anche Gran Bretagna e Catalogna registrano dati molto più alti dei nostri.

Inutile negarlo: tira aria di secondo lockdown. Ne parlano i virologi, ne accennano i politici. I media gonfiano le vele della psicosi di massa agitando lo spettro di una seconda ondata probabilmente peggiore della prima. Ci si torna a muovere in terra incognita. Si scoprono le mancanze commesse nei più rilassati mesi estivi. Ci si accorge che mancano ospedali Covid, posti letto, sale attrezzate di terapia intensiva, farmaci, tamponi. Siamo in ritardo su tutto ma la politica non paga pegno e rigetta ogni responsabilità. Perfino Lucia Azzolina parla da statista: “Non chiuderemo mai le scuole, abbiamo lavorato tutta estate per questo”. E sembra anche avere ragione.
La tempesta perfetta tende a farsi spazio sui radar verso la settimana natalizia. Il virologo Crisanti lo considera “nell’ordine delle cose”. L’ex portavoce di Renzi oggi deputato del Pd, il romano Filippo Sensi, mette il dito in aria e su Twitter immagina il peggio: se proprio dobbiamo, facciamolo presto.

Vien da chiedersi a chi giovi, questo allarmismo a dosi crescenti. L’allarme è come una droga: se cominci, dopo non basta più. Sul piano della comunicazione siamo già arrivati a confondere nei numeri i contagiati con i morti. È una deriva, questa sì, assai pericolosa.

Sappiamo che ci attendono mesi difficili. Viaggi all’estero, vacanze estive, ritorno sui banchi e alle attività quotidiane hanno consentito alla pandemia di ripresentarsi con forza rinnovata nella stagione autunnale. Non ci sono ancora vaccini, ma ci sono cure. Alcune di esse sono efficaci. La situazione non è certo quella della prima ondata, nella quale si era del tutto impreparati. Anche questo dovrebbe essere detto e spiegato bene. Se saremo soggiogati della paura non faremo passi avanti. Accanto alla responsabilità occorrono fiducia e ottimismo. Senza i quali, questo è certo, non ne usciremo.