1921-22: due scissioni, due astensioni e la marcia su Roma

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Agli inizi del 1921 la violenza fascista dilagò in tutto il paese, portando con sé sangue, morti, intimidazioni, la distruzione delle Camere del Lavoro, delle sedi dei partiti d’opposizione e dei loro giornali, l’assalto alle cooperative e le dimissioni forzate degli amministratori comunali e provinciali.

L’eterna lotta interna al Psi tra rivoluzionari e riformisti, specie di fronte al richiamo di mosca a fare come in Russia, rese incerta la linea politica del Psi, portandolo a compiere una serie di gravi errori strategici. La scissione di Livorno del gennaio 1921 e la nascita del PCdI indebolirono ulteriormente l’opposizione socialista, tanto che anche nelle terre di più forte radicamento socialista, come quelle reggiane, il fascismo iniziò a espandersi e a mettere radici.

La situazione si deteriorò a tal punto da indurre il Psi reggiano a proclamare la sua astensione in occasione delle elezioni politiche del 15 maggio.
Il diritto di voto, insisteva Prampolini, per essere esercitato e rispondere a verità, doveva comprendere anche la libertà di propaganda di tutti i partiti: giornali, pubblici comizi e assemblee.

Poiché tutto ciò non era più garantito anche a causa della complicità del governo e delle forze dell’ordine con i fascisti, Prampolini ritenne che non esistessero più le condizioni minime politiche ed etiche per partecipare alle elezioni e che, anche per evitare ulteriori violenze e lutti, la scelta migliore fosse quella dell’astensione. Astensione non generalizzata, precisava con forza, ma valida solamente per il collegio di Reggio, dove la violenza si era dimostrata particolarmente feroce e l’espressione libera del voto appariva impossibile.

Gli altri comuni del collegio, Parma, Modena e Piacenza, invece seguirono le indicazioni della Direzione Nazionale e all’ultimo momento presentarono le loro liste insieme ai comuni reggiani di Guastalla e Luzzara. Alla fine risultarono comunque eletti sette deputati socialisti.
La scelta di Prampolini subì nel partito molte critiche, apparve divisiva e non venne sempre compresa e accettata. Solo Turati l’appoggiò.
D’altra parte se da un lato l’astensione apparve perfettamente coerente con la visione etica di Prampolini, d’altra si dimostrò una risposta difensiva e rinunciataria dinnanzi alla violenza del nascente fascismo.

Il Psi reggiano venne pertanto commissariato, nonostante che l’assise provinciale delle sezioni del 19 giugno 1921 avesse sostenuto la scelta compiuta e avesse espresso solidarietà umana e politica a Prampolini.
Poi la frattura si ricompose al congresso del 28 agosto, grazie a una risoluzione di mediazione che riconosceva le ragioni e i torti di tutti. Ma l’unità così faticosamente raggiunta durò poco.

Al congresso nazionale del tre ottobre 1922, la situazione si aggravò irrimediabilmente, tanto che la maggioranza massimalista per dare un segnale di avvicinamento a Mosca espulse i riformisti di Matteotti, Turati, Treves e Prampolini, contrari a riportare pedissequamente in Italia l’esperienza sovietica. Nacquero così due partiti socialisti: il PSI massimalista di Serrati e il Psu riformista di Turati.

Se consideriamo che questo ulteriore indebolimento del fronte socialista avvenne appena ad una ventina di giorni dalla marcia su Roma, si riesce a comprendere quanto le rotture a sinistra abbiano facilitato l’ascesa di Mussolini.

Poiché le aggressioni, i morti e gli assalti alle cooperative continuarono con ancora maggiore intensità, quando giunse il momento, nel novembre 1922, delle elezioni amministrative, i socialisti reggiani in larga maggioranza aderenti al Psu, decisero ancora una volta per l’astensione, rendendo così decisamente più agevole la vittoria della lista fascista.
I risultati furono però inaspettati. Gli astenuti furono pari al 32%, una percentuale molto significativa e mai registrata in passato. I fascisti raggiunsero il 51,1 %, i popolari il 17,04%. I fascisti dunque vinsero ma il loro risultato non fu pari alle aspettative.
Con un ragionamento puramente teorico se tutti gli astenuti e i popolari fossero riusciti a trovare tra loro una qualche forma d’intesa, l’esito delle elezioni non sarebbe stata così scontata a favore della lista del Fascio..

I fatti andarono purtroppo in un’altra direzione e il Consiglio comunale venne di conseguenza formato esclusivamente da candidati fascisti. Sindaco della città fu eletto lo psichiatra dott. Pietro Petrazzani (1858-1948), già consigliere comunale socialista dal 1899 al 1908.
Non condividendo l’opposizione del PSI alla guerra di Libia, Petrazzani aderì nel 1912 al PSRI di Bissolati, mai nascondendo però la sua amicizia e la sua stima nei confronti di Prampolini.
Oltre che per i suoi studi scientifici pubblicati su diverse riviste, Petrazzani acquisì notorietà per essere stato incaricato di studiare lo stato mentale di Augusto Masetti, il giovane antimilitarista che la mattina del 30 ottobre 1911 per non partire per la guerra di Libia, sparò un colpo di fucile contro il colonnello Stroppa, ferendolo ad una spalla.
Nel corso della Prima guerra mondiale Petrazzani perse il suo unico figlio sul Carso e, probabilmente anche per questo, abbracciò definitivamente la causa nazionalistica, avvicinandosi sempre di più al fascismo.

Petrazzani rimase in carica fino al 1925 per ritirarsi a vita privata con il titolo di direttore onorario dell’Istituto San Lazzaro.
La Giustizia sett. del 26 novembre 1922 diede conto della seduta d’insediamento del primo Consiglio comunale fascista del 22-11-22, riassumendo criticamente anche il discorso del neosindaco.
Fin dal mattino al balcone del municipio furono esposti il Tricolore, il Gonfalone Comunale e, perché non si potesse equivocare sui nuovi gestori della città, il gagliardetto fascista.
Il biennio 1921-22 registrò dunque due scissioni in campo socialista: quella di Livorno del 1921 con la nascita del PCdI e quella del 1922 con l’espulsione dei riformisti dal PSI e la nascita del Psu.

In terra reggiana poi venne decisa l’astensione elettorale in due occasioni: nelle elezioni politiche del 1921 e in quelle amministrative del 1922. L’astensione comprensibilissima dal punto di vista etico-legalitario, lo fu meno da quello pratico-politico, finendo per favorire, almeno a Reggio, la formazione del primo Consiglio comunale fascista.
Combattere il fascismo con le sole denunce morali senza misurarsi almeno nelle urne, si rivelò una illusione, potenzialmente in grado di soffocare la residua volontà dei compagni d’attivarsi per ostacolare l’avanzata del fascismo.

Lo stesso Prampolini, come si evince anche da una lettera inviata a Simonini, ebbe in seguito modo di rivedere le sue convinzioni in merito alla possibilità di sconfiggere il fascismo con i soli metodi democratici e non violenti.

Considerazioni che probabilmente lo portarono a ritenere sbagliata la scelta astensionistica fatta in passato. In fondo essa rappresentò l’ultimo disperato tentativo di far prevale i valori democratici e legalitari sulla logica della violenza e dell’arbitrio.
L’analisi di questi eventi aiutano a comprendere meglio il travaglio vissuto dalla sinistra antifascista e il contemporaneo successo di Mussolini.




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