Stragi. Regione: via al segreto di Stato

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Ustica, Stazione di Bologna, Piazza Fontana, Rapido 904, omicidio Moro. Nomi e luoghi tragici che hanno insanguinato la vita repubblicana negli ultimi decenni del Novecento. Ferite tutt’ora aperte perchè a ciascuno di questi eventi hanno fatto seguito iter processuali particolarmente incerti e intricati. Un ulteriore insulto ai morti, alle loro famiglie, a interi territori e, più in generale, all’intero tessuto della nostra democrazia.

I governi succedutisi in questi decenni hanno varato una serie di iniziative politico-legislative per tentare di risolvere le numerose accuse e sospetti di insabbiamenti, depistaggi e ostacoli alla giustizia che hanno da sempre accompagnato i processi su questi sanguinosi eventi. Ultima in ordine di tempo, nel 2014, la direttiva del governo Renzi che prevedeva l’impegno a versare all’archivio centrale di Stato tutta la documentazione nella disponibilità dei vari apparati di sicurezza. Nonostante ciò le principali amministrazioni non hanno ancora ottemperato, impedendo così una corretta e definitiva ricostruzione della verità di tipo giudiziario, storico e fattuale.

Sul dibattito innescato dalle sollecitazioni pervenute anche in tempi recenti da parte delle più alte cariche dello Stato, si è confrontata anche l’Aula dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna. In discussione due distinte risoluzioni rappresentanti i punti di vista di maggioranza ed opposizione. A un primo documento a prima firma Michele Facci e sottoscritto da tutti i consiglieri di Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Rete Civica e Gruppo Misto, ha fatto eco un’analoga risoluzione a prima firma Giuseppe Paruolo (Pd) a cui hanno aderito diversi consiglieri di maggioranza.

Se entrambi gli atti di indirizzo sono molto simili tra loro nel richiedere al governo la desecretazione dei documenti coperti da Segreto di Stato, quello della maggioranza differisce per il fatto che sottolinea esplicitamente il ruolo e il contributo della Regione Emilia-Romagna nella difficile ricerca della verità così come confermato e testimoniato -specifica Paruolo- “dall’attenzione specifica rivolta al tema della Memoria del Novecento, che ha dato vita ad una Legge regionale – la n. 3 del 2016 – unica in Italia attraverso cui è stato possibile il lavoro di digitalizzazione dei documenti desecretati depositati presso il Tribunale di Bologna, oltre a sostenere il lavoro di ricerca storica e di archivio dei materiali”.

In fase di illustrazione, Michele Facci (Lega) ha chiarito come la risoluzione a sua firma, presentata nello scorso mese di luglio “e riguardante una serie di documenti della nostra intelligence su specifiche attività terroristiche del mondo mediorientale nel periodo 1973-1982 sia stata, di fatto, resa inutile dalle parole del presidente del Consiglio Conte il quale -specifica l’esponente della Lega- “prima si è unito all’appello del presidente della Repubblica e dei presidenti di Camera e Senato per la desecretazione dei documenti e poi, a fine agosto, ha apposto il segreto di Stato per altri 8 anni dicendo che la verità avrebbe arrecato danni al nostro Paese. Non volevamo e non vogliamo discutere le verità giudiziarie ottenute, ma vorremmo leggere gli atti per capire in maniera approfondita il perché del Segreto di Stato”.

Giuseppe Paruolo (Pd) ha invece chiarito come la risoluzione della maggioranza ricalchi quasi totalmente quella a prima firma Facci, ma inserisca due importanti passaggi che erano stati rifiutati dal documento della minoranza, impedendo, di fatto, il voto congiunto. “Le uniche differenze rispetto al testo presentato dalla Lega -chiarisce l’esponente Pd- riguardano il ruolo che credo debba essere riconosciuto alla Regione Emilia-Romagna che, con la Legge della Memoria del Novecento e il sostegno alle Associazioni delle vittime, ha consentito la digitalizzazione di importanti documenti processuali relativi al processo per la strage della stazione di Bologna. Noi concordiamo sulla necessità di desecretare tutti questi documenti, ma ricordo che la Magistratura ha già potuto leggerli prima di emettere o confermare le condanne in essere”.

Silvia Zamboni (Europa Verde), ha sottolineato anche il ruolo specifico avuto dall’Assemblea legislativa nel processo di digitalizzazione “effettuato dai volontari Auser” degli atti processuali sulla strage del 2 agosto 1980, che è valso “il plauso e la riconoscenza dello stesso presidente dell’Associazione familiari Paolo Bolognesi”.

Di parere diametralmente opposto, invece, il capogruppo di Fratelli d’Italia Marco Lisei, il quale ha difeso la scelta di non accettare i due punti proposti dalla maggioranza. “Con la risoluzione a prima firma Facci -specifica il consigliere bolognese- si mira a cercare la verità, mentre rilevo che Paolo Bolognesi si è sempre concentrato a ricercare una sola particolare verità. Nessuno vuole contestare la verità giuridica, ma spesso questa può non coincidere con la verità reale”.

Per Igor Taruffi (ER Coraggiosa) “sono ancora innumerevoli i misteri della storia repubblicana dalla metà degli anni ’60 alla metà degli anni ’80 del Novecento, ma su alcune di queste vicende -in particolare per ciò che riguarda la strage di Bologna- c’è una verità processuale acclarata che attesta le responsabilità in capo a Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, entrambi molto vicini agli ambienti neofascisti”.