Samoggia, agronomo dei contadini reggiani

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Quando all’inizio del ‘900 i socialisti reggiani conquistarono il comune, uno dei primi problemi che vollero affrontare fu quello dell’ammodernamento dell’agricoltura e, di conseguenza, il miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori. Allo scopo si decise di chiamare un tecnico di valore per meglio inquadrare la complessa problematica e decidere come meglio intervenire. L’esperto fu identificato nella persona del dottor Massimo Samoggia, che si dichiarò disponibile ad assumersi tale gravoso impegno. Nato a Savena (BO) nel 1870 da Cesare e Vaccari Celestina, si laureò nel 1898 alla Scuola Superiore di Agraria di Milano, abbracciando subito gli ideali e la causa socialista. Già seguace di Filippo Turati, rimase affascinato dalla predicazione di Camillo Prampolini, restando sempre fedele alle idee e alla pratica riformista.

Samoggia fu chiamato, dunque, a Reggio nel 1900 per dirigere la cattedra ambulante di agricoltura della provincia. Queste cattedre, diffuse in tutta Italia, erano nate per “diffondere l’istruzione tecnica fra gli agricoltori, dispensando consigli e informazioni”. Lo stato dell’agricoltura reggiana era infatti particolarmente arretrata, richiedeva molta manodopera e non garantiva agli operai agricoli un reddito sufficiente per sostenere la famiglia. Solo gli agrari continuavano a godere i benefici dello sfruttamento medievale dei lavoratori dei campi.

Con il lento ma graduale miglioramento della rete viaria provinciale anche l’agricoltura iniziò a cambiare volto, intensificando gli scambi commerciali, specie con le province confinanti e con la montagna, da sempre isolata. La coltivazione intensiva prese il sopravvento e i fertilizzanti cominciarono a sostituire il concime organico. Tutto questo accadeva grazie anche all’incremento, specie nella Bassa, della meccanizzazione agricola. La mezzadria restò comunque largamente diffusa in tutta la provincia e ciò contribuì a mantenere l’agricoltura a un basso livello di produttività e a un alto livello di sfruttamento della manodopera. Le condizioni di vita, specie quelle dei braccianti, restavano miserevoli, tanto che nel 1900 la pellagra colpì ancora circa 345 persone.

Dagli scioperi che rivendicarono paghe più elevate ed orari di lavoro più brevi, si giunse alla formazione di Leghe di braccianti, che riuscirono a negoziare con maggiore forza contrattuale con i datori di lavoro. Nel 1901 inoltre per migliorare l’organizzazione e la tutela delle leghe contadine, nacque a Guastalla la Federazione Provinciale Reggiana delle Leghe di miglioramento, il cui scopo principale fu quello di intervenire in difesa dei diritti delle singole leghe e dei loro soci contro i proprietari. Poi il sorgere della Camera del Lavoro e il diffondersi del modello cooperativo favorirono, anzi conferirono la spinta decisiva alla penetrazione della propaganda socialista anche nelle campagne. Dal 1901 al 1907, grazie alla guida e al coordinamento sindacale, a quello politico del comune e della cooperazione, sorsero 13 cooperative agricole con 2416 soci. Samoggia con Sichel e Prampolini sostenne la necessità di una alleanza tra mezzadri e leghe bracciantili per non lasciare questi ultimi in un isolamento sterile a tutto vantaggio dei grandi proprietari.

Grande fautore della formula associativa, con il sostegno di tutti i dirigenti del partito e della C.d.L., promosse, incentivò e favorì la nascita di cooperative agricole in ogni angolo della provincia, favorì la conoscenza delle nuove tecniche di coltivazione, promuovendo corsi di formazioni e incontri informativi nelle campagne. Si sforzò di convincere gli agricoltori della necessità d’avvalersi di tecnici che sapessero arricchire con le loro conoscenze scientifiche la lavorazione pratica dei terreni. Samoggia venne ricordato, oltre che per la sua indiscussa competenza, anche per la disponibilità a incontrare chiunque si rivolgesse a lui per avere consigli e rassicurazioni. Per questo era solito raggiungere le località più sperdute della provincia e tenere conferenze o brevi e improvvisati corsi tecnici. Due volte la settimana inoltre, il mercoledì e il sabato, il suo ufficio reggiano restava aperto e a disposizione dei lavoratori interessati a incontrarlo.

In perfetta sintonia con la Camera del Lavoro e il suo segretario Vergnanini contribuì alla nascita anche degli uffici di collocamento per i lavoratori dei campi, che si presentarono paritetici, formati cioè da rappresentanti dei fittavoli e dei lavoratori in ugual misura. Samoggia mantenne l’incarico fino al 1904, quando si spostò a Milano per dirigere l’Ufficio Agrario della Società Umanitaria. Nel nuovo incarico si avvalse della collaborazione di altri riformisti, come Luigi Minguzzi, successore di Samoggia, Cesare Vassallo e Nino Turati. Diede inoltre vita al Segretariato per l’emigrazione interna alla colonia di Fermo e alla Federazione mutue bestiame. Così come fatto a Reggio, città con la quale restò sempre in contatto e che spesso visitò, contribuì allo sviluppo della cooperazione, sia in ambito contadino, con le affittanze contadine e le cooperative di produzione, sia in quello operaio con le cooperative di produzione e lavoro e con quelle di consumo.

Dal punto di vista politico si distinse per una intensa attività pacifista (fu contrario alla guerra libica e all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale), per la presenza in tutte le manifestazioni in occasione della festa del Primo Maggio, per l’intensa attività parlamentare. Nel 1909 e nel 1913 (XXIII e XXIV legislatura) venne eletto, infatti, alla Camera dei Deputati per il collegio di Montecchio Emilia. Partecipò al congresso nazionale del PSI che si tenne a Reggio nel 1912, votando anche in quella occasione la mozione dei riformisti. Nel 1914 si dimise da parlamentare per lasciare il posto a Giovanni Zibordi, suo amico e maestro. In seguito venne chiamato a Bologna, a Roma e ancora a Milano come direttore dell’Istituto di credito della cooperazione, ruolo che assolverà fino al 1926, quando prevalse la furia fascista.

Nel 1922 aderì con convinzione al Partito socialista unitario di Turati, Prampolini e Matteotti. Una delle sue ultime apparizioni in pubblico avvenne in occasione del funerale di Anna Kuliscioff, che in tanti anni di permanenza a Milano aveva avuto modo di conoscere e stimare. Massimo Samoggia visse gli ultimi svolgendo incarichi di fortuna in campo agricolo, sempre vigilato dalla polizia fascista. Morì a Milano il 15 dicembre 1942. Diverse strade sono a lui intitolate a Reggio Emilia, Milano, Bologna, Ascoli Piceno, Parma.




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