Reggio. In Consiglio Vecchi ha ricordato Campioli, sindaco della Liberazione

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Qui sotto l’intervento del sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi in ricordo di Cesare Campioli, sindaco della città dal 1945 al 1962, pronunciato lunedì in apertura del Consiglio comunale.

“In questi giorni ricorrono i cinquant’anni dalla morte di Cesare Campioli, avvenuta il 25 gennaio 1971. Campioli è stato primo sindaco della nostra città dopo la Liberazione.

Fu infatti sindaco di Reggio Emilia dal 4 maggio 1945 al 17 maggio 1962, dopo essere stato designato dal Comitato di Liberazione nazionale, già il 25 aprile, primo sindaco del dopoguerra. Di formazione socialista prampoliniana, sono certamente tanti i profili che possono essere indagati nel ricordare questa importante figura, nel suo percorso che iniziò come operaio e che terminò come imprenditore di un’azienda da lui fondata insieme al fratello, ancora oggi una delle aziende portanti del tessuto industriale e manifatturiero della nostra città.

Allo stesso modo, potremmo ricordarlo nella sua militanza sindacale, antifascista e partigiana, fino appunto a diventare il primo sindaco del dopoguerra all’indomani della Liberazione. È chiaro che siamo di fronte a una personalità complessa, che ha segnato 17 anni di storia della nostra città. Ci sono alcune esperienze che, in una certa misura, si iniziarono a ideare in quel periodo, e che ancora oggi sono parte integrante del presente e del futuro di Reggio Emilia.

Fu in quel momento che la cultura e la sensibilità nei confronti dei diritti dei bambini cominciò ad immaginare l’idea dell’apertura dei primi nidi e delle prime scuole d’infanzia, seppure nelle difficoltà burocratiche e legislative di quel momento. Quell’idea che poi trovò corpo in particolar modo negli anni successivi, e in particolare con l’Amministrazione successiva, guidata da Renzo Bonazzi.

Fu in quegli anni, ricchi di fermento, che ebbe un ulteriore impulso l’esperienza di un’altra eccellenza contemporanea, le Farmacie comunali riunite, con i suoi oltre 140 anni di storia e la capacità di essere un punto fondamentale del sistema dei servizi pubblici della nostra città. Così come fu allora che venne fondata l’azienda gas-acqua, quell’Agac che poi, con le progressive evoluzioni, divenne Iren.

La personalità di Cesare Campioni viene descritta come quella di una persona semplice ma al tempo stesso molto concreta, capace di tenere insieme una solida capacità di gestione della quotidianità e una visione alta del bene comune e del rispetto delle persone.

Era quella una fase che giustamente fu definitiva di Ricostruzione, non solo materiale ma sociale, di nuovi legami, dopo vent’anni terribili di fascismo e nazismo, della privazione della libertà e delle imposizioni della dittatura. Era dunque una fase in cui serviva – e credo che Cesare Campioli abbia saputo interpretarlo con grandissima autorevolezza e fermezza – un forte spirito di unità di popolo all’indomani della guerra.

Credo che vi sia ancora oggi una relazione molto interessante e a mio avviso meritevole di indagine, di ricerca e studio, tra passato, presente e futuro, rispetto a fatti politici e amministrativi che in una certa misura trovarono la loro radice in quel momento storico, cioè all’indomani della Liberazione. Mi riferisco ai citati nidi e alle scuole d’infanzia, alle Farmacie comunali riunite e alla multi-utility; mi riferisco anche a quella che è la storia delle ex Officine Reggiane, che all’indomani della guerra si trovarono a fare i conti con la crisi, la perdita dei posti di lavoro e la miseria che colpirono migliaia di famiglie reggiane, e che a distanza di settant’anni continuano a essere oggetto di grande attenzione nella costruzione del futuro della nostra città, con significati più contemporanei, legati all’economia della conoscenza e all’innovazione: a ben vedere altro non è che la stessa idea di fabbrica, di manifattura e cultura del lavoro che ispirò proprio quel periodo di ricostruzione, mettendo le basi non soltanto della progressiva piena occupazione delle nostre comunità, ma anche delle fondamenta di quel modello economico emiliano che poi contribuì, nei decenni successivi, anche agli alti livelli di benessere e di coesione civile e sociale dei nostri territori.

In questa relazione tra passato, presente e futuro, non credo ci sia solo una continuità politica e addirittura partitica: credo invece che ci sia da riflettere con molta attenzione sul modo in cui il testimone, di generazione in generazione, è stato passato attraverso slanci di innovazione che si sono tenuti ancorati a una continuità nella visione del bene comune, nella consapevolezza delle priorità. È interessante osservare come, a distanza di settant’anni, nelle priorità di una comunità vi fossero gli stessi temi di oggi: gli asili nido, i servizi pubblici e alla persona, l’attenzione al modello di sviluppo economico, allora come oggi. Ritengo importante considerare come quanto accadde nell’immediato dopoguerra non fu semplicemente una parentesi di quel momento storico, poi a un certo punto chiusa e archiviata, ma fu un pezzo fondamentale di una narrazione, di un percorso storico che poi ha accompagnato la crescita economica, sociale e civile di questa comunità nei decenni successivi. Credo che questo vada anche al di là dell’appartenenza politica di chi ha vinto storicamente le elezioni, ma atterri su un concetto alto di bene comune.

Cesare Campioli è ricordato anche come il sindaco del 7 luglio 1960: un sindaco che si trovava in piazza nel momento in cui cominciarono gli spari, configurazione di una grandissima tragedia, un dramma per la nostra città e un crocevia fondamentale per la storia e la democrazia del nostro Paese.

Fu lui, con il suo valido e autorevole impegno, e con un’azione estremamente coraggiosa, ad avere la capacità di fermare quegli spari e quella ostilità che portò comunque ai cinque Martiri.

Voglio chiudere questo mio intervento riferendomi a un testo che mi ha colpito, poiché mi ha fatto riflettere su un aspetto forse meno conosciuto e indagato tra i tanti profili di questo sindaco, di cui parliamo spesso come operaio, imprenditore e antifascista.

Era 1930 quando un giovane Cesare Campioli arrivò a Parigi, espatriato da un Paese in cui si era affermato ormai da otto anni il regime fascista. Un Paese, l’Italia, che tuttavia non era in guerra e in cui non si esprimeva un esplicito dissenso nei confronti del regime, e dove probabilmente non si aveva alcun motivo di temere per la propria vita.

Ci si può chiedere se a questo ragazzo oggi verrebbe riconosciuto lo status di rifugiato o se invece, dato che nel suo Paese di provenienza non c’è alcuna guerra, come si legge nei documenti di allora, si concluderebbe che non c’è alcun pericolo per la sua vita e gli sarebbe negata la richiesta d’asilo. Ecco, in quei quattordici anni di emigrazione, questo ragazzo avrebbe affrontato difficoltà di ogni tipo e avuto momenti anche di sconforto, probabilmente, ma avrebbe anche sempre meglio imparato il francese e allargato le sue conoscenze, partecipando sempre di più alla vita economica, culturale e politica di Parigi, e nel suo piccolo contribuendo anche a renderla in tutta Europa e in tutto il mondo una metropoli internazionale, crocevia di tante culture. Quello stesso ragazzo, una volta tornato in Italia, dopo aver fatto la Resistenza, divenne il primo sindaco di una Reggio Emilia e in un’Italia liberate dal regime fascista.

Dunque, il primo sindaco di Reggio Emilia in un Paese libero era stato anche un migrante, di fatto un clandestino e un rifugiato.

Credo che anche questa vicenda, nel suo piccolo apparentemente secondaria rispetto a tanti altri aspetti della vita di questo importante amministratore, sia di ulteriore stimolo per una riflessione tra passato, presente e futuro, che in una certa misura consegno all’attenzione di Istoreco e dei tanti attori, non soltanto istituzionali, di questa città affinché si faccia una verifica, se si ritiene che ci siano ancora le condizioni – come già accadde dieci anni fa – di proseguire un lavoro di ricerca e di esplorazione sulla figura del primo sindaco del dopoguerra, trovando non soltanto dunque le ragioni di una doverosa commemorazione istituzionale, ma anche di un lavoro di ricerca, di consapevolezza sulla memoria e sulla storia stessa della nostra terra, come credo questa città – quando lo ha voluto – abbia sempre saputo fare”.