Reggio, venerdì presidio al processo Saman contro la “violenza istituzionale”

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Per le 8.30 di venerdì 31 marzo, l’associazione “Non Una di meno” Reggio Emilia ha promosso un presidio davanti al Tribunale di Reggio Emilia, in occasione della terza udienza del processo per il femminicidio di Saman, per ribadire che la violenza di genere ha molte forme “tra cui quella, non sempre visibile ma gravissima, che noi chiamiamo ‘istituzionale’”.

“Chiediamo che la colpevolizzazione delle vittime e tutte le altre forme di violenza, incuria, umiliazione, ingiustizia istituzionale, siano bandite definitivamente dai luoghi della giustizia e nessuna vittima di violenza sia mai più ritenuta responsabile”, spiegano le promotrici ponendo l’accento sulla “cosiddetta vittimizzazione secondaria, in particolare, che colpisce le persone che vogliono uscire da situazioni di violenza di genere rivolgendosi alle istituzioni”. “Troppo spesso questa violenza non è riconosciuta, non siamo credute da magistratura e forze dell’ordine o, cosa ancor più aberrante, si tenta di attribuire a noi la responsabilità della violenza che subiamo e di giustificare i maschi violenti perché mentalmente instabili a causa di un’infanzia infelice, accecati dall’amore e dalla gelosia, colti da raptus perché improvvisamente sofferenti di disturbi della personalità – continuano – Abbiamo seguito fin dall’inizio e per tutta la durata dei dibattimenti in tribunale i processi per femminicidio intentati contro gli assassini che hanno spezzato in modo violento e crudele le vite di Hui e Juana Cecilia e ora stiamo assistendo al processo per l’efferato, inconcepibile femminicidio di Saman. Nelle nostre dichiarazioni pubbliche abbiamo ogni volta sottolineato come sia evidentissima in tutti i casi la matrice patriarcale di omicidi che affondano le loro radici in una cultura sessista ancora profondamente radicata, pur con modalità diverse, nelle differenti società e come lo sprezzo della vita delle donne non conosca frontiere, confini geografici, affiliazioni religiose e non esprima ‘opzioni’ etniche. Abbiamo sempre denunciato le clamorose carenze e gli inspiegabili “vuoti” nell’applicazione delle misure e nelle pratiche di tutela delle potenziali vittime che emergono in modo tragico dalle cronache processuali, le inaccettabili insufficienze nella prevenzione, nel soccorso e nel sostegno. Ci siamo addoloratə e ci siamo sentitə offesə per le gravissime argomentazioni tirate in ballo a difesa degli assassini, vuoi per giustificare il loro operato al fine di ottenere sconti di pena – come è accaduto nel processo d’appello per il femminicidio di Hui -, vuoi per insinuare in modo più o meno subdolo responsabilità dellə vittimə e screditarle in funzione della sentenza finale e dell’assegnazione della pena”.

In occasione del presidio è stata quindi scritta una Lettera Aperta a chi opera nel settore della giustizia (che riportiamo di seguito) che sarà distribuita domani.

Questa lettera è rivolta a tutte le persone che si trovano, in virtù della loro funzione, ad operare con la giustizia. La violenza contro le donne e la violenza di genere costituiscono una gravissima violazione dei diritti umani, la più diffusa in tutti i paesi e presente a tutti i livelli nella società.
Troppo spesso non viene riconosciuta ed è largamente sottostimata dai dati statistici giudiziari, contribuendo all’allargamento della zona grigia e del fenomeno della violenza sommersa. Oggi per fortuna esiste sempre maggiore consapevolezza della violenza subìta: le donne ne parlano, trovando conforto nella rete e nel confronto.
Si tratta di violenze che colpiscono le donne in quanto tali. Una violenza fondata sulla disparità di potere fra uomini e donne, un fenomeno sociale strutturale che ha radici culturali profonde, riconducibili a una organizzazione patriarcale della società che ancora oggi permea le pratiche e i comportamenti di milioni di persone. Non dar credito alle donne e non riconoscere come violenza di genere gli atti che subiscono, significa continuare a perpetrare quella disparità che alimenta la violenza in una voragine senza fine. Giorno per giorno.
Le donne sono sempre più disincentivate ad uscire dalle relazioni violente, convinte che non saranno credute. Siamo consapevoli che lo strumento giudiziario è insufficiente, è riduttivo pensare di poter prevenire una violenza così complessa solo attraverso il diritto penale, che in una società avanzata dovrebbe essere extrema ratio.
Crediamo che un efficace contrasto alla violenza di genere si possa ottenere grazie a interventi nel tessuto culturale del Paese. In Italia, le leggi esistenti prevedono il coinvolgimento delle istituzioni, delle associazioni e della società per il diffondersi di una cultura del rispetto delle differenze, dell’eguaglianza dei diritti e della solidarietà. Si prevede il sostegno all’interno del sistema scolastico e formativo, lo svolgimento di iniziative di sensibilizzazione sul tema dell’affettività e della relazione improntata al consenso e al reciproco rispetto, con l’obiettivo di migliorare la comprensione del fenomeno.

Spesso, però, questo rimane lettera morta, poiché nella quotidianità la violenza non viene riconosciuta, ed è ancora difficile da nominare. Manca la cultura che porta a riconoscere i segni e le azioni di quella violenza di genere che sempre più spesso le donne e le persone lgbtqia+ si trovano a denunciare, non solo dentro le questure. L’obiettivo è una formazione per tutte le diverse professionalità che entrano in contatto con persone che hanno subìto violenza: organi che amministrano la giustizia, ospedali, Centri Anti Violenza, asst e ats; affinchè siano in grado di riconoscerla per poter trattare in maniera consona con le persone che l’hanno subìta.
Sappiamo che la giustizia non abita nei tribunali e ci troverete sempre nelle piazze e accanto alle donne. Ciononostante, vogliamo tutelare le persone che intendono rivolgersi alla giustizia istituzionale affinché il loro diritto venga riconosciuto. Chiediamo che venga recepita a pieno la normativa internazionale, la Convenzione di Istanbul che coinvolge, appunto, l’amministrazione della giustizia, le Forze dell’Ordine e tutti i soggetti e gli enti coinvolti che hanno il compito istituzionale di prevenire, tutelare, sanzionare e lavorare in rete per assicurare tutela e protezione alle persone colpite dalla violenza di genere. Viene chiesto alle parti di adottare le misure necessarie per effettuare una valutazione al fine di individuare quali siano i fattori di rischio e capire in che modo questi possono concorrere all’escalation della violenza.
La cronaca giudiziaria ci restituisce troppi esempi di tragedie che potevano essere evitate a partire da una corretta analisi del contesto. La mancanza di formazione specifica degli agenti delle forze dell’ordine e dei magistrati rischia, inoltre, di contribuire a generare un ambiente non sufficientemente protetto e accogliente – se non addirittura ostile – per chi denuncia, rappresentando un deterrente alla decisione di rivolgersi alle istituzioni di giustizia.
Chiediamo corsi di formazione in particolare per tutto il personale delle Forze dell’Ordine, per la Magistratura e per i servizi sociali. Una formazione che sia necessariamente femminista e somministrata dai centri anti violenza che operano con la metodologia fondata sulla relazione tra donne, operatrici e professioniste di comprovata esperienza in ambito di prevenzione della violenza ed educazione alle differenze, poiché l’obiettivo non è solo quello di in-formare, bensì di interiorizzare la cultura del rispetto.

Le stesse linee guida andrebbero, poi, seguite nel procedimento penale, nel corso delle indagini preliminari, nel processo ed infine nella (eventuale) fase esecutiva.
Concretamente, sono troppo frequenti i casi in cui la violenza non è stata riconosciuta:
– quante volte le forze dell’ordine recandosi sul luogo della violenza non sono state in grado inquadrare correttamente il pericolo e, quindi, la violenza di genere è stata trattata come un mero conflitto o, peggio, come una lite famigliare?
– quando abbiamo trovato la forza per denunciare, quante volte le forze dell’ordine hanno sminuito e ci hanno “spiegato” che ciò avevamo subìto non era reato?
– quante volte ci siamo sentite dire di tornare a casa e aspettare che la sua sbronza passasse?
– quante volta ci siamo sentite chiedere come eravamo vestite?
– quante volte le nostre denunce e querele sono state dichiarate “strumentali”?
– quante volte i magistrati incaricati delle indagini hanno chiesto l’archiviazione?
– quante volte l’organo giudicante ha contribuito alla narrazione tossica attraverso le sentenze?

In ambito civile la situazione non migliora:
– quante volte nei procedimenti di separazione personale dei coniugi vengono disposte CTU decontestualizzate?
– quante volte viene applicata la teoria della “Sindrome da Alienazione Parentale” che non ha valenza scientifica?
. quante volte in nome della bigenitorialità il maltrattante è posto sullo stesso piano della sopravvivente perché, comunque, può essere un buon padre?
– quante volte la madre che denuncia è colpevolizzata e le viene sottratta la prole?

Prevedere corsi obbligatori servirebbe a garantire, dunque, la tutela delle sopravviventi, attivando una efficace valutazione del rischio di letalità, gravità e reiterazione.
Specifiche capacità sono necessarie, inoltre, nei confronti di persone lgbtqia+, donne con disabilità, migranti, vittime di tratta, disturbi mentali, con dipendenze patologiche e con figli disabili che richiedono competenze tecniche specifiche e capacità di ascolto particolari.
Come N.U.D.M. siamo in costante contatto con chi vive la violenza sui propri corpi e attraversiamo le piazze da 7 anni gridando che è sistemica, le sue forme di espressione sono molteplici e trasversali.
La formazione è necessaria, ma non sufficiente a produrre il cambiamento profondo in quelle istituzioni che oggi -rivittimizzando le donne- si rendono complici del maltrattante.
Auspichiamo, quindi, un’assunzione di responsabilità nell’agire di ciascuno nell’ambito in cui è chiamato ad operare, affinché ogni istituzione coinvolta nei percorsi di uscita dalla Violenza restituisca alle donne credibilità e garantisca loro la sicurezza di cui hanno bisogno per continuare a vivere libere e autodeterminate.

Con Amore e Rabbia
Non Una Di Meno