Quando a Reggio andava Lo Scamiciato

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Nel gennaio 1882 usciva a Reggio Emilia il giornale anarco-socialista: Lo Scamiciato, voce del popolo. Anarchico perché comprendeva aderenti alla Prima Internazionale come Angelo Canovi (amministratore), Arturo Ceretti, Celso Pasini, Vincenzo Beggi, Cesare Masoni (Redattore responsabile), Luigi Bondavalli (tipografo), Angelo e Carlo Pedemonti, Cesare Bedogni, Benedetto Gorisi, Giovanni Ferrarini, Ugo Rabbeno, socialista perché vi scriveva anche chi era più sensibile alle idee evoluzioniste e socialiste, che si stavano diffondendo in Italia. Fra questi Camillo Prampolini. Né gli uni né gli altri avevano, in realtà, ancora un’idea chiara dei connotati che la società socialista avrebbe avuto nel futuro.

Sarà lo stesso Prampolini ad ammettere “Quando divenni socialista, gli anarchici e i socialisti erano ancora confusi insieme. Erano gli uni e gli altri “umanitari” internazionali. Prevalevano i credenti nel miracolo di una imminente rivoluzione. Né molto diverso ero io, benché più sereno e più “evoluzionista”, per istinto avverso alla violenza, pur ritenendo inevitabile e storicamente necessaria la rivoluzione. Però io seguii il movimento revisionista di Andrea Costa, del quale presi le difese fin dal dicembre 1883 nello Scamiciato”.

Con lo pseudonimo Ursus, in un lungo articolo di presentazione delle ragioni dell’uscita del giornale e della sua collaborazione, Prampolini scriveva: “…L’intelletto umano è entrato ormai nella sua fase positiva e vi si inoltra a gran passi. Gli eredi di Kant e di Robespierre dovevano necessariamente essere ribelli all’assolutismo, si presentasse loro in nome di Dio o in nome del re; e i popoli moderni subiscono la necessità del libero esame e dello spirito d’uguaglianza, come i nostri antenati subirono la necessità della fede e del servilismo”.

Li univa forse sola la premessa che la futura società socialista sarebbe stata basata sulla proprietà collettiva. Sta di fatto che con Lo Scamiciato la “questione sociale” diventò soggetto politico e il movimento operaio mosse i primi passi. La realtà economica e sociale in provincia di Reggio Emilia era infatti alquanto drammatica. Basta ricordare che i due terzi della popolazione erano iscritti negli elenchi dei poveri bisognosi di sussidio, che la fame, la pellagra, l’analfabetismo e l’emigrazione erano la quotidianità dei cittadini.

I sostenitori del giornale erano soliti riunirsi presso la rivendita di liquori di Angelo Canovi, posta in piazza di fronte al Comune, o nei locali della libreria Fogliani di via Cavallotti.
Il metodo d’azione da loro scelto prevedeva due direzioni: quello della “Propaganda del fatto” e quello dell’agitazione economica.

Il giornale, forse per l’attenzione che raccolse in ambito popolare, rappresentò una autentica provocazione per la società reggiana del tempo, ancora molto conservatrice e reazionaria, che aveva, fin dal 1864, nel quotidiano L’Italia Centrale il suo giornale di riferimento.

Per mancanza di finanziamenti e per disgregazione del gruppo promotore, Lo Scamiciato fu costretto però, dopo diversi sequestri, a cessare le pubblicazioni nel volgere di due anni, nel gennaio del 1884.

Come Napoleone Colajanni scrisse a Prampolini il 17 marzo 1883, il dilemma degli anarchici consisteva nel fatto che essi allarmavano la borghesia e i ceti intellettuali senza attirare l’attenzione del proletariato.
Già a partire dal 1883 le strade degli anarchici e dei socialisti cominciarono di fatto a dividersi, seguendo strade diverse, che avrebbero portato alla rottura definitiva, sancita al Congresso di Genova del 1892.

Prampolini, ammiratore di Andrea Costa e sostenitore dell’attività politica legalitaria, pur continuando a collaborare al giornale, prese presto le distanze dal radicalismo inconcludente e dalla propaganda puramente teoria degli anarchici, cercando anche con una serie di articoli di guadagnare alla causa anche i mazziniani e i garibaldini

Per Prampolini occorreva, come scrisse il 30 dicembre 1883 su Lo Scamiciato: “Coltivare religiosamente tutto ciò che è Associazione, che è vita pubblica delle plebi, tutto ciò che può prepararle fin d’ora, educarle alla nuova vita. Questo è il nostro primo dovere e dipende da ciò che la prossima rivoluzione dia buoni o cattivi frutti”.
Le associazioni o società allora più numerose erano quelle di mutuo soccorso, mentre le poche cooperative presenti sul territorio appartenevano al settore delle cooperative di consumo.

Prampolini, a partire dall’esperienza della cooperativa di consumo di Vinsani, si convinse che le cooperative di consumo fossero la dimostrazione pratica di istituzioni che contenevano in sé tutti fondamentali dell’idea socialista. Era altresì convinto che privilegiare quella formula avrebbe significato prendere per base l’interesse generale del popolo, l’unica in grado d’essere compresa e ascoltata da tutti. I profitti ricavati dalla commercializzazione dei prodotti, infatti, sarebbero stati distribuiti, andando a vantaggio di tutti gli altri settori di produzione.

Per quei motivi, spiegava Prampolini, “nella nuova cooperativa c’è tutto il socialismo, per ciò che riguarda la parte economica delle questioni sociali”. Ciò che doveva essere cambiato era pertanto il meccanismo economico, non gli uomini.

Anche gli scamiciati, con l’adesione di alcuni giovani intellettuali, fecero con il tempo progressi significativi nella diffusione del socialismo in città, tanto da preoccupare il tranquillo mondo clerico-moderato, che cominciò a gridare al pericolo rosso. Gli scamiciati non furono però mai in grado di creare una base di massa, restando un movimento di idee piuttosto che di interessi.

Per tutte quelle considerazioni, Prampolini volse lo sguardo verso il giornale e organo di riferimento della cooperativa di consumo di Contardo Vinsani, Reggio Nova. Quella scelta fu decisiva perché Prampolini si distaccasse definitivamente dagli amici della prima ora de Lo Scamiciato e, insieme ad Andrea Costa e a Filippo Turati, si incamminasse sulla strada più pratica e fruttuosa della buona amministrazione dei comuni, nell’intento strategico di avvicinarsi sempre di più alla tanto agognata società socialista.

Quando infatti, il 17 gennaio 1886, la cooperativa di Vinsani e Reggio Nova cessarono le pubblicazioni per mancanza di risorse finanziarie, Prampolini, appena dodici giorni dopo, fece sorgere La Giustizia, difesa degli sfruttati, il suo giornale.