Parola e vita

Don Giuseppe Dossetti

Settantaduesima lettera alla comunità al tempo del coronavirus

La pandemia ha aggravato la sfiducia nelle parole. “Fatti, non parole” è un principio sul quale siamo tutti d’accordo, anche se poi non riusciamo a fare a meno della dose quotidiana, propinata da innumerevoli canali.

Eppure, l’abuso delle parole non deve farci dimenticare che la parola è una cosa seria. Nella Bibbia, Dio crea con la parola (“Dio disse: Sia la luce. E la luce fu”) e il vangelo di Giovanni esordisce: “In principio era la Parola”.

Anche la parola dell’uomo conserva qualcosa di questa efficacia creatrice. È molto significativo che questo valga per il male. Vi sono parole cattive, che possono distruggere l’onore di una persona; addirittura il nazismo ci ha dimostrato come si possa, con le parole, sedurre un popolo e gettarne un altro nei campi di sterminio. Per questo è necessaria una grande cautela e una non facile capacità di critica. Ancora una volta, la pandemia ce lo richiede.

In questi giorni la Chiesa rilegge una frase che Simon Pietro rivolge a Gesù in un momento di crisi della sua missione: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68s.).

Nella nostra superficialità, noi pensiamo che Gesù fosse un grande comunicatore e che la frase di Pietro risenta del fascino esercitato su persone in qualche modo già predisposte, per la loro attesa del Messia. Nulla di più falso: i discepoli di Gesù sono ebrei, i quali da sempre sono molto cauti nell’accordare fiducia alle parole dei profeti. Infatti “profeta” è, alla lettera, colui che parla in nome di Dio. Agli israeliti, fin dal tempo di Mosè, viene detto che esistono i falsi profeti e che il criterio di verità è che la parola del profeta si avveri; meglio ancora, che sia generatrice di verità.

Ora, Pietro riconosce che la parola di Gesù è generatrice di vita. Ancora una volta sono le sacre Scritture che proteggono Israele dalla banalità. Per la Bibbia, la vita è relazione, con Dio e con gli uomini. La morte è la rottura di questi rapporti essenziali, per cui si può essere morti anche se il nostro organismo continua a funzionare. La vita eterna è la comunione perenne, è la promessa di un amore infinito, grazie al quale ogni momento è crescita, trasparenza, gioia.

Tuttavia, per avere la vita, esistono due condizioni. Di una Pietro è consapevole; dell’altra no, e questa sarà la ragione della sua crisi. Pietro dice: “Noi abbiamo creduto e conosciuto”. Ci aspetteremmo il contrario: si crede dopo aver conosciuto. Proprio qui siamo nella logica della parola creatrice. Ci sono delle parole, nella vita di ogni uomo, che ci chiedono delle decisioni e solo dopo quella decisione esse acquisteranno pieno significato.

Facciamo un esempio: il matrimonio. Chi vuol essere sicuro di tutto, garantito su tutto, non si sposerà mai. Ma se la parola che fiorisce nel cuore si fa strada tra i dubbi e rimane, anzi cresce e mi dice che quella è la persona che mi viene donata, e allora decido di dire a me e a lei la parola “per sempre”, da quel momento in poi la mia conoscenza di lei diventerà libera e appagante.

La seconda condizione, invece, è molto più difficile. Gesù ha appena detto ai suoi ascoltatori che, per avere la vita, bisogna “mangiare il suo corpo e il suo sangue”, cioè unirsi a lui nel cammino della croce. Proprio questo ha scandalizzato molti suoi discepoli, che lo hanno abbandonato.

Questa pretesa di Gesù è associata all’Eucaristia, alla Messa, che è appunto mangiare la sua morte, credendo che essa sia la via per la vita. Per ciascuno di noi questo può significare il sacrificio, il perdono, la carità senza attesa di riconoscimenti, le sconfitte secondo il mondo, la malattia propria o dei propri cari; ascoltare la parola di Dio vuol dire talvolta accettare l’assurdo.

Vuol dire consegnarsi a questo Tu che ci interpella, giorno dopo giorno, fino alla consegna ultima della nostra morte corporale. Qui è massimamente vero che, per conoscere la verità su noi stessi, bisogna credere, nel senso originario della parola, che è appunto consegnarsi. Pietro ha esitato, come succede a noi; ma a lui e a noi la parola di Gesù offre ogni giorno una nuova occasione.