“Noi contro le mafie”, studenti reggiani in silenzio per le vittime e per il coraggio di Piera Aiello

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Un profondo silenzio, rispettoso e partecipe, ha dominato l’evento conclusivo di “Noi contro le mafie”, ospitato nella sala convegni di Confcooperative Reggio: quello di studenti e studentesse presenti dal vivo o da remoto per ascoltare la testimonianza di Piera Aiello, oggi deputata della Repubblica italiana.

Una storia di coraggio e di lotta alla mafia di una giovane candidata all’ingresso in polizia, poi costretta a sposare il figlio di un boss, quindi vedova di mafia e testimone di giustizia (dieci anni prima della legge che riconobbe ufficialmente questa figura), che si affidò al giudice Paolo Borsellino (“lo zio Paolo”, come lo chiamavano lei e la figlia di tre anni) per continuare la sua lotta.

L’evento reggiano si è aperto con le immagini delle stragi di Capaci (avvenuta il 23 maggio del 1992) e di via D’Amelio (il 19 luglio dello stesso anno) e con la memoria delle vittime, citate una per una dagli studenti in sala: a Capaci persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Mortinaro. Meno di due mesi dopo in via D’Amelio morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Senza contare le decine di feriti.

Donne e uomini già simbolo della lotta alla mafia a cui il progetto “Noi contro le mafie” ha voluto rendere omaggio ricordando anche chi, insieme a loro, ogni giorno contrasta in ogni luogo la criminalità organizzata: perché, come ha spiegato Piera Aiello, “dobbiamo stare vicino ai magistrati che lottano contro la mafia e a chi lotta per la giustizia e la libertà”.

Un impegno che ha dominato la vita della parlamentare e che ha preso consistenza soprattutto in un gesto: il rifiuto di indossare il foulard che la suocera le porse dopo la morte del marito (seguita a quella del suocero, che il figlio intendeva vendicare). “Non ho indossato quel fazzoletto nero da vedova – ha ricordato Aiello – perché segno di sottomissione”. La sua testimonianza, come la sua vita, è stata impregnata di questo rifiuto di ciò che era considerato giusto o ineluttabile nell’ambiente mafioso che ha visto e denunciato: la vendetta, la violenza, il silenzio, la complicità.

Una storia ascoltata in silenzio dai presenti, con quell’ammirazione che si fa partecipazione e affetto, perché – come ha più volte ripetuto proprio la stessa Aiello, promotrice di leggi e disegni di legge per contrastare la mafia – “dobbiamo ricordare i vivi che lottano in sperduti paesini e in sperdute procure, e non solo commemorare gli eroi”.

Non basta, dunque, la commemorazione, “ma ogni giorno è necessario – ha aggiunto la vicepresidente della Provincia di Reggio Ilenia Malavasi – per costruire una comunità più consapevole non solo del fenomeno e del rischio di infiltrazioni, ma alimentata da una cultura della legalità che si rinnova”.

Per Valerio Maramotti, componente del consiglio di Confcooperative Reggio e presidente del Consorzio Oscar Romero e della cooperativa sociale L’Ovile, “siamo qui per ribadire il nostro impegno di cooperatori e cooperative, perché siamo consapevoli che per essere protagonisti di buona economia e buona occupazione non possiamo abbassare la guardia nei confronti di chi questa economia la inquina con il malaffare, con quantità ingenti di denaro da riciclare, con cooperative spurie, caporalato e lavoro nero”.

A concludere i lavori dell’ultimo appuntamento di “Noi contro le mafie”, il dodicesimo rivolto alle scuole, è stato l’intervento di Antonio Nicaso, il più grande storico italiano delle mafie. L’incontro in Confcooperative è stato coordinato dalla giornalista Alessandra Codeluppi, che con i suoi stimoli ha consentito tanti approfondimenti sull’attualità, sui testimoni e sui collaboratori di giustizia, sul maxiprocesso Aemilia, sulle proposte di legge ancora giacenti in Parlamento.

Riflessioni accompagnate dal silenzio, ma anche dall’indignazione rispetto, ad esempio, al passaggio dal carcere agli arresti domiciliari di 500 boss mafiosi durante la pandemia: “Persone in isolamento, ben lontane da rischi di contagio”, secondo Piera Aiello, “molte delle quali non rientreranno in carcere”.