L’uomo è un grande mistero a se stesso. C’è in lui un desiderio insopprimibile di totalità: egli è l’eterno insoddisfatto, come il Faust di Goethe. I limiti non lo distolgono dalla sua ricerca, neppure il limite apparentemente definitivo della morte. Né serve esortarlo ad accontentarsi, oppure magnificare la nobiltà di una rassegnazione stoica. La contraddizione è espressa magnificamente nella Bibbia, dal libro del Qohelet (o Ecclesiaste), al capitolo tre. C’è un tempo per ogni cosa: “C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci …”. In altre parole, non c’è nulla di definitivo e di perpetuo. Però, quel Dio che “ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ha posto nel loro cuore la nozione (l’aspirazione) dell’eternità, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio fa”.
Questa sete di totalità è particolarmente sentita nell’amore. Ognuno di noi desidera che l’amore sia per sempre e sarebbe di pessimo gusto dire all’amato, “ti amo finchè dura”, oppure, “non chiedermi troppo”. L’amore è esclusivo e geloso. Eppure, noi assistiamo ogni giorno a legami che si spezzano o che svaniscono semplicemente perché qualcuno si stanca. Come è possibile?
Che l’amore tenda all’assoluto, non meraviglia l’uomo della Bibbia. L’amore è l’impronta di Dio nell’uomo: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,7s.). Giovanni rielabora così il messaggio di Gesù. Gesù annuncia il “Regno di Dio”: esso non è altro se non la decisione definitiva di Dio in favore dell’uomo, in nome di quell’”alleanza”, tante volte offerta e altrettante volte infranta durante i secoli da Adamo in poi. La misura e la forma di questa decisione è la croce di Gesù: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (4,10).
Questa decisione assoluta richiede una risposta altrettanto senza riserve. Ecco perché il moralista non entra nel Regno dei Cieli: egli introduce nell’amore misure, regole, tariffe, casistica. La risposta di Gesù alla domanda sul più grande comandamento non è un comandamento, se per comandamento si intende l’osservanza di un precetto: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente … e amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22,37 s.).
In queste parole di Gesù, c’è già la risposta a una possibile obiezione: proprio perché totalitario, come condividere l’amore per Dio con quello per l’uomo? La risposta è semplice: “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16). Proprio perché nella fede abbiamo riconosciuto l’amore totale e eterno, la misura del dono induce a una simile generosità verso l’uomo, anzi, esso ci aiuta a superare le delusioni e i fallimenti, e a riprendere senza sosta l’iniziativa, facendo il primo passo: “Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (4,19).
E’ vero che l’amore è sottoposto spesso a difficoltà e crisi. Esse, però, se affrontate insieme, lo arricchiscono, lo rendono più maturo e anche più esclusivo, nel senso nobile della parola: viene rinnovata una scelta reciproca, per la quale l’altro diviene ancora di più singolare e insostituibile. E’ bello vederlo in tante coppie di anziani, nelle quali leggiamo la parola della Genesi: “Non sono più due, ma una carne sola”.
Che dire, invece, delle situazioni nelle quali si sperimenta l’abbandono o il fallimento di un cammino, iniziato magari con fiducia e entusiasmo? Non ci sono regole, in questi casi; tuttavia, la speranza rimane e si affina. Proprio allora, appare l’importanza di vivere il nostro amore nell’orizzonte dell’amore di Dio. Magari, non appaiono soluzioni, ma avvertiamo l’invito a lasciarci prendere per mano, vivendo ogni giorno come il passo di un cammino del quale non conosciamo lo scopo, che però è conosciuto, anzi, che è costruito da Colui che, con verità ancora maggiore, chiamiamo Padre.
E’ possibile pensare in questo modo anche di fronte alla guerra e alle crisi del nostro tempo? Magari, ne parleremo la prossima settimana.
Ultimi commenti
peccato privarsi di cosi' tanta bellezza...lo Skyline di Cella non sara' mai piu' come prima.
Ma il Sindaco è la Giunta, non pensano a ridurre la spesa della complessa macchina comunale, lo stipendiopolo comunale è stato classificato come la maggior
Stato di abbandono? Io direi più atti di vandalismo...