L’opera del demonio non è la malattia

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Ogni tanto, qualcuno sostiene che la malattia, e in particolare quella che ormai da un anno affligge il mondo intero, sia opera del demonio. Ora, nel Vangelo, malattia e demoniaco sono spesso associati e Gesù unisce al suo insegnamento la cacciata dei demoni e la guarigione dei malati. La gente dice: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono” (Mc 1,27). Questo vale anche per il ministero dei discepoli. Il Risorto dice loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”, e aggiunge: “Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, … imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 16,16-18). In realtà, Gesù non si pronuncia sull’origine della malattia, ma certamente essa determina una condizione di fragilità, nella quale facilmente il demonio si infiltra.

L’opera del demonio non è la malattia, quanto piuttosto il suo utilizzo per lo scopo di satana, che è, come ripete Papa Francesco, di “dividere”, separare l’uomo da Dio e dagli altri uomini. E’ quanto sta capitando anche oggi: la pandemia ha generato in molti tristezza e paura; in più, un sentimento di rassegnazione, come se Dio avesse voltato lo sguardo da un’altra parte. Le comunità soffrono, perché le necessarie precauzioni rendono più difficili i contatti, lo scambio, l’amicizia. La morte viene vissuta spesso nell’isolamento di un letto d’ospedale.

In cosa può consistere l’”esorcismo”, il contrasto a quest’opera malvagia?

L’autorità di Gesù non è l’opera di un mago, è l’autorità del Figlio di Dio. Essa ha un duplice prezzo: anzitutto, l’amoroso e obbediente ascolto della Parola del Padre: quante volte vediamo Gesù ritirarsi nella solitudine e pregare! In secondo luogo è l’autorità della compassione, del condividere la sofferenza dell’uomo, fino alla morte in croce. Gesù non ha guarito tutti i lebbrosi, i ciechi, i malati del suo tempo, né dobbiamo pretendere che lo faccia quest’oggi. Egli però ha fatto qualcosa di più: ha fatto diventare la malattia non più il luogo della separazione, ma quello dell’incontro con Dio e con il fratello uomo.

Per questo è così importante la cura del malato e della persona fragile. E’ quello che fanno medici e personale sanitario, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle cure a domicilio. Essi sanno di non essere in grado di rendere l’uomo immortale, ma lo fanno sentire amato, che la sua famiglia è anche colui che gli porta il piatto in ospedale o colui che gli prova la pressione. Come sapete, alcuni preti sono andati in aiuto ai cappellani degli ospedali, nei reparti CoVid: passano un po’ di tempo con ciascuno, curano i contatti con i famigliari, sono vicini a coloro che stanno per oltrepassare la soglia. Ma anche ciascuno di noi ha la responsabilità di creare comunità, di riannodare legami. Basta una telefonata, un biglietto. Un ruolo importantissimo è anche quello di chi lavora nella scuola. Nello spazio, creato da questi gesti di carità, satana non può entrare.

Grazie a tutti voi: in questo anno, tutte le comunità si sono assottigliate, anche quelle che si riuniscono nelle chiese. La presenza alla Messa è diminuita; ma tante persone si sono attivate, hanno respinto la tentazione della passività, hanno scoperto il loro ruolo, a cominciare dalle piccole cose. In un modo meno visibile, penso che le nostre comunità abbiano ampliato la loro presenza e la loro influenza.

Non dimentichiamo, però, l’esempio di Gesù. La preghiera non sia un’opera buona che si deve fare; sia piuttosto l’ascolto della parola di un Dio che non dimentica i suoi figli. La sua parola si ascolta leggendo e rileggendo il vangelo. Facciamo in modo che essa entri nella profondità del nostro spirito: ne saremo consolati, ne ricaveremo luce per la mente e coraggio. Non dobbiamo subire questo tempo difficile, ma farlo servire alla nostra conversione e al progresso della carità.