L’ombra dolce dei morti e la caricatura del Male

fantasmi zucca Halloween – P

C’era un tempo non remoto in cui l’autunno sapeva di devozione e di pane benedetto. In Sicilia, come in molte terre del Sud, la notte tra l’uno e il due novembre non era un carnevale nero, ma una visita degli affetti: i “morticieddi” tornavano invisibili, discreti, per posare doni ai bambini, frutti di marzapane e pupi di zucchero, segni di una continuità che intrecciava la vita alla morte, il sorriso all’aldilà. Si cresceva così, imparando che i morti non fanno paura, che il mistero non è orrore, ma appartenenza.

Oggi invece la notte dei morti è diventata un’orgia di plastica, un rito commerciale travestito da trasgressione. Halloween, importato come un gadget, ha divorato ogni profondità simbolica. L’industria del consumo ha sventrato il sacro per venderne la caricatura: zucche fluorescenti, sangue finto, maschere di serial killer. Il Male, da esperienza del limite e del peccato, è stato spettacolarizzato, banalizzato, reso intrattenimento. E il bambino non attende più il dono dei nonni defunti, ma il sacchetto del supermercato.

Padre Guidalberto Bormolini, con la sua consueta limpidezza, lo ha ricordato proprio in questi giorni: “Abbiamo smarrito la familiarità con la morte, e così la morte ci fa paura. Non la celebriamo più, la consumiamo”. È questa la chiave: non è un problema di folklore, ma di senso. Dove un tempo il dolore era un linguaggio condiviso, oggi è un fastidio da nascondere sotto il cerone del divertimento. E dove i morti avevano un posto nella casa, oggi non hanno nemmeno un posto nel calendario.

Non si tratta di difendere un’identità folcloristica contro un’altra, ma di recuperare la profondità che la modernità ha reso impensabile. Le antiche ritualità siciliane – con i loro dolci, i giochi e le preghiere – erano pedagogia spirituale: insegnavano ai vivi a non essere schiavi della paura, a convivere con l’assenza, a trasformare il lutto in memoria. Oggi, la cultura del consumo ha sostituito tutto ciò con un estemporaneo e rumoroso vuoto.

Basterebbe poco per invertire la rotta. Basterebbe tornare a una forma di educazione al mistero, a una consapevolezza che la morte non è un tabù, ma parte dell’alfabeto della vita. Perché un popolo che non sa più dialogare con i propri morti, finisce per non saper più ascoltare nemmeno i propri vivi.




C'è 1 Commento

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  1. Miten Veniero Galvagni

    In questi giorni, per motivi facilmente comprensibili, sono stato a rendere un omaggio ad alcune persone sepolte in quattro cimiteri diversi della Provincia di Reggio. In orario pomeridiano e prima di sera, prima del buio. Ho visto tanta gente adulta che portava fiori, che rassettava la tomba del proprio caro….molti parlavano fra loro….. alcuni si presentavano vicendevolmente. Ho visto pochissimi giovani sotto i vent’anni….ho visto in tutto sei bambini e tre bambine. Ecco, cominciamo a portare i bambini al cimitero! I bambini desiderano che i loro genitori non abbiano paura di parlare con i loro morti….Grazie Direttore.


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