L’intervento. A scuola inutili i progetti spot

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di Silvana Minari *

“Educare alle relazioni”, il piano per le scuole superiori lanciato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, è un piano che, oltre ad essere molto generico, sembra più un contenitore che una proposta di contenuti e anche come contenitore resta facoltativo e viene proposto in orario extracurricolare. Per un certo numero di ore, indicativamente 30 in un anno scolastico, gli studenti potranno riunirsi in gruppi di discussione per parlare di temi relativi ai rapporti affettivi ed alle relazioni, con la moderazione di un insegnante.

Male non farà, questo è auspicabile, anche se molto dipenderà dalla capacità dell’insegnante di guidare e coinvolgere il gruppo. Se l’approccio sarà positivo quell’insegnante potrebbe diventare la figura di riferimento con cui parlare, anche in colloqui individuali, in cui chi ha bisogno di aiuto potrebbe trovare la forza di aprirsi. Non si può però eludere la domanda di fondo: se questo piano vuole essere una risorsa per sanare questa tragedia sociale in cui a pagare il prezzo sono le donne, abbiamo un’idea di che cosa stia già facendo la scuola in questo campo per assolvere il suo compito culturale ed educativo per le generazioni future? Da anni parliamo di approccio interdisciplinare per favorire un pensiero critico che permetta di incontrare una problematica da diverse prospettive. Abbiamo promosso qualcosa in questo campo?

È riconosciuto che la violenza di genere non è un problema nuovo, ma rappresenta l’emergere di una cultura che ha tacitamente legittimato questa violenza, ora non più tollerata dalle donne. Siamo quindi di fronte ad un rovesciamento radicale che richiede un cambio di prospettiva trasversale che riguarda tutte le materie, dalla storia, alla letteratura, alla geografia, alla religione, alla antropologia, alle scienze sociali. Riguarda la nostra cultura e ci pone di fronte ad una grande domanda: siamo in grado nella scuola di farci una immagine dell’essere umano, in tutte le sue diverse accezioni, sessuali, culturali, religiose che vogliamo accompagnare verso il futuro e renderlo in grado di affrontarne le sfide?

Rudolf Steiner ci parla di un elemento universalmente umano che vive in ognuno di noi, anche nei bambini che, come esseri umani in divenire, ci chiedono di essere riconosciuti nella loro essenza più pura, un’essenza che precede la dimensione biologica del sesso o quella culturale del genere. Questa essenza è il mondo morale che appartiene ad ogni essere umano. Il nostro compito di educatori è prima di tutto quello di non distruggere questo legame con il mondo morale. Come educatori siamo tutti coinvolti: genitori, insegnanti, adulti in genere. Le materie scolastiche non servono a fare degli studenti solo dei futuri cittadini lavoratori perché, come purtroppo possiamo sperimentare, alla fine neanche quello si riesce sempre ad ottenere, ma servono a rafforzare la consapevolezza della nostra comune responsabilità verso il creato ed a tutte le sue creature. Non possiamo continuare ad attaccar pezze a tutti i buchi che ogni giorno si manifestano senza elaborare una visione, senza avere una missione chiara che metta al centro il potenziamento delle nostre qualità morali.

In questo potenziamento non vi è nessun elemento confessionale o moralistico, va oltre ad ogni divisione di sesso, di religione, di etnia e cerca di portare il giusto nutrimento culturale nel rispetto delle diverse età dei bambini. Non possiamo immergere i bambini nei problemi che nascono dalle nostre inadeguatezze di adulti pensando che poi loro da grandi non facciano gli stessi errori. Gli errori, le prove che riguarderanno le generazioni future a noi non è dato conoscerli; noi possiamo investire la nostra esperienza nella ricerca delle risorse che saranno loro utili in quanto universalmente utili ad ogni essere umano.

Il loro rispetto per l’altro quando saranno adulti passa da come noi sappiamo rispettare i bambini, il loro senso di responsabilità passa da come noi ci assumiamo la nostra responsabilità di educatori, quanto ci investiamo e ci crediamo, quanta fiducia abbiamo negli altri. Se un educatore ha smesso di credere nell’essere umano non sarà in grado di trasmettere nessuna fiducia nel futuro. Educazione è prima di tutto autoeducazione. Dobbiamo maturare la consapevolezza che, come insegnanti ed educatori, siamo l’ambiente intorno al bambino che educa se stesso. A noi il compito di rendere questo ambiente il più favorevole possibile, ma questo non a suon di progetti spot, di ore di educazione civica o specialistica, ma in un comune e collegiale senso di responsabilità verso le generazioni future fin dalla prima infanzia.

Quando parliamo del mondo morale dobbiamo stare attenti a non essere fraintesi. Non siamo di fronte ad un nuovo “ismo” che sottintende un moral-ismo intriso pure di perben-ismo. La proposta pedagogica della scuola steineriana è quella di accompagnare non solo lo sviluppo intellettuale e fisico di ogni bambina/o, ma anche un sano risveglio delle attività della loro interiorità, della loro anima: il volere, il sentire e il pensare. Nella prima infanzia è il volere che porta ogni essere umano ad immergersi nel mondo, ad imitarlo, a provarne empatia, ad affidarsi. Essere imitabili e creare le condizioni per un sano e libero gioco creativo è il nostro primo compito educativo. Durante il periodo della scuola primaria e secondaria di primo grado è il sentire che va nutrito attraverso un piano di studi che fa dell’arte il suo principale strumento pedagogico. Il mondo buono ed imitabile incontrato nella prima infanzia ora, grazie alla guida dell’insegnante, si manifesta loro nella sua bellezza. La bellezza di un racconto, magari inventato dall’insegnante per intervenire in senso pedagogico su dinamiche relazionali che hanno bisogno di essere trasformate; la bellezza di una lettera che trova la sua forma attraverso una storia; la bellezza dell’aritmetica che nelle sue dinamiche del sommare, sottrarre, dividere e moltiplicare è assimilabile a nostre dinamiche interiori. Allora l’insegnante attraverso dei racconti, dei disegni alla lavagna, porta loro incontro personaggi fantastici che ne portano il temperamento. Dietro ad ogni atto creativo vi è la ricerca e lo sforzo dell’insegnante, attraverso l’esempio e non dei moralismi viene alimentato il mondo morale che li circonda.

Si apre così la strada verso il pensare critico che arriva già nella secondaria di primo grado, ma soprattutto in quella di secondo grado, alle superiori. Le ragazze ed i ragazzi hanno bisogno di adulti che conoscano e sappiano incontrare il mondo, con biografie che suscitino il loro interesse, interesse verso ciò che gli adulti hanno saputo fare di buono nella vita. Non cercano nuove catechesi dove viene elencato ciò che è virtuoso e ciò che non lo è. Vogliono iniziare a sperimentare come costruirlo quel mondo migliore che anelano e decidere se noi possiamo essere dei buoni compagni di viaggio.

(*) presidente libera scuola Steiner-Waldorf di Reggio Emilia



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