Stato e antiStato
Dopo i tre giorni utilizzati dai pubblici ministeri per la requisitoria e le richieste di condanna (sulle quali torneremo nei prossimi giorni), giovedì 24 maggio nell’aula del processo Aemilia hanno parlato i rappresentanti delle parti civili. L’avvocatura dello Stato era rappresentata dall’avv. Mario Zito, che attraverso un intervento di particolare forza ha tirato una riga netta tra chi opera per la tutela della comunità e chi contro la comunità. Sia esso un poliziotto, un funzionario dell’agenzia dello Stato, un politico o un dirigente d’impresa.
“Gli imprenditori collusi al termine della loro avventura con la mafia hanno incontrato solo il carcere e il fallimento”, ha detto, e molti di loro ricordano il Polonio dell’Amleto: “Si trovano a cena con un grande personaggio mafioso ma come portata, non come ospiti”. Poi le parole più nette e intransigenti a difesa del lavoro operato dalla Prefettura a Reggio Emilia negli anni dello scontro frontale con gli imprenditori ritenuti organici alla cosca di ‘ndrangheta. Ascoltiamo:
Brescello
L’avvocato Federico Fischer ha illustrato i danni subiti per la presenza mafiosa da due Comuni della nostra provincia: Montecchio e Brescello. Il primo paese di residenza del collaboratore Giuseppe Giglio, dei fratelli Vertinelli, e per un certo periodo del capocosca Michele Bolognino, che lì gestiva il capannone dal quale partivano gli operai prestati all’imprenditoria locale per la ricostruzione post-terremoto.
Questo Comune, stando agli atti del processo, sembra un campo di battaglia nei confronti della tranquilla Brescello, ma sono proprio il silenzio e la relativa pace sulle rive del Po a dire secondo l’avvocato quanto fosse forte in quel contesto l’influenza della cosca Grande Aracri, che ha portato al commissariamento dell’ente locale.
Il lavoro ferito
Ma non solo: calpestato, sfruttato, minacciato, sottopagato, umiliato, spaventato. Dalle storie di Aemilia il mondo del lavoro e le persone che lavorano escono come soggetto collettivo tra i più colpiti dall’allargamento a macchia d’olio della ‘ndrangheta nelle attività economiche della regione.
E il sindacato dei lavoratori è il soggetto pubblico ai quali le mafie cercano di impedire l’ingresso ai cantieri per gestire senza rompiscatole la forza della propria capacità d’intimidazione nel rapporto individuale con i singoli, che inevitabilmente soccombono. Il sindacato ha pagato il proprio tributo di vittime nella storia italiana del contrasto alle mafie, e l’avvocato Libero Mancuso lo ricorda nella prima parte del suo intervento, a nome della Cgil dell’Emilia-Romagna.
La manodopera del Sud
Mancuso richiama poi le confessioni rese dal collaboratore Antonio Valerio durante gli interrogatori del pubblico ministero. La sua storia di muratore salito dal Sud negli anni Ottanta assieme a migliaia di altri, tutti trattati come gli emigranti di oggi che attraversano il Mediterraneo sui barconi. Per uno che finisce nella ‘ndrangheta, mille finiscono in balia di un mercato sempre più privo di regole.
La ragione d’esistere della Cgil
Se non c’è libertà non c’è rappresentanza. Se i lavoratori non possono scegliere e decidere, i sindacati non possono esistere e operare. È la ragione della costituzione di parte civile, è il rischio che corre un mondo del lavoro alterato e violentato dalle pratiche illegali, definendo così il danno patrimoniale e ideale che subisce la Cgil dalla presenza della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna.
Lo statuto "vivente"
Dopo Libero Mancuso ha parlato l’avvocato Andrea Ronchi per le Camere del Lavoro di Reggio Emilia e Modena, con una riflessione sulle ragioni che hanno spinto i giudici del rito abbreviato di Bologna a riconoscere ai sindacati un indennizzo relativo ai soli reati di caporalato. La sentenza diceva in sostanza: poiché nello statuto del sindacato non sta scritto esplicitamente che tra le ragioni del suo esistere c’è il contrasto alla ‘ndrangheta, non si può riconoscere un danno relativo al capo 1 di imputazione, e cioè l’esistenza dell’associazione criminale di stampo mafioso. Replica l’avvocato che lo statuto di riferimento del sindacato è l’insieme delle sue pratiche di vita, nelle quali la lotta alla criminalità organizzata è pane quotidiano.
Un processo storico
Tanti avvocati hanno parlato in aula, per tante associazioni, enti, persone che si sono costituiti parte civile. Forse per la prima volta, in un grande processo di mafia, le loro parole, così come il lungo lavoro dei pubblici ministeri Mescolini e Ronchi nei tre giorni della requisitoria, sono stati trasmessi in diretta audio-video e sono stati visibili in tutto il paese. Più volte i giudici del collegio, per bocca del presidente Francesco Maria Caruso, hanno indicato nella trasparenza e nella visibilità pubblica del processo Aemilia la miglior garanzia per tutti i suoi protagonisti.
La Cgil di Reggio Emilia ha fatto proprio questo principio, impegnandosi a trasmettere in diretta la parte conclusiva del lungo processo iniziato nella primavera del 2016. Dopo le parti civili toccherà da martedì prossimo alle arringhe dei difensori, in nome dei 149 imputati del doppio rito reggiano (abbreviato e ordinario). Continueremo a trasmettere anche quelle, per consentire a tutti di conoscere e sapere. È la prima esigenza, perché la conoscenza è presupposto della consapevolezza: strumento fondamentale per contrastare il degrado prodotto dalla criminalità.
(da "Processo Aemilia: le ragioni delle parti civili" – Cgil Reggio Emilia)
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La Cgil di Reggio ha scelto una forma intelligente per seguire il processo Aemilia affidando a uno dei giornalisti più esperti della realtà locale, che è anche autore consolidato di opere di narrativa, lo sviluppo del dibattimento che va svolgendosi in questi mesi a Reggio Emilia. 24Emilia e io personalmente siamo particolarmente grati a Paolo e alla Cgil per averci concesso l’utilizzo dei suoi testi, anche nella consapevolezza che ciò possa contribuire a rendere più capillare la diffusione delle vicende legate alla penetrazione della ‘ndrangheta nella nostra provincia e a far sì che da una maggiore consapevolezza possano scaturire gli anticorpi affinché questi germi di malaffare possano essere definitivamente estirpati dal territorio emiliano. (n.f.)
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