L’accoglienza al tempo del Coronavirus

Don Giuseppe Dossetti

Seguire Gesù significa rinunciare alle sicurezze umane: egli ci chiede di accompagnarlo nella via difficile della consegna alla volontà di Dio, che spesso entra in conflitto con il mondo, i suoi valori, la sua sapienza. Nonostante i compromessi che tutti noi cerchiamo di inventare, quel minimo di fedeltà al nostro battesimo che riusciamo a conservare ci fa diventare “piccoli”, come dice il vangelo di questa domenica.

Gesù, però, vuole ricordarci la dignità del discepolo: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato”. Anzi, il discepolo, piccolo e povero che egli sia, con tutte le sue infedeltà e miserie, porta con sé una benedizione: “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, non perderà la sua ricompensa”.

Il tempo del coronavirus ci ripropone, e sempre di più lo farà in futuro, il tema dell’accoglienza. Non saranno solo gli stranieri a chiederci aiuto, ma anche tante persone che hanno vissuto finora una vita simile alla nostra e che si troveranno in difficoltà, per il lavoro, per la casa e non solo. La gestione familiare, per esempio, la conciliazione tra il lavoro degli adulti e la scuola dei ragazzi, sarà complicata. Incominciamo già a vederlo dall’osservatorio della nostra scuola per l’infanzia.

Che cosa vorrà dire, allora, accogliere? Il vangelo mette in risalto la concretezza dei gesti: dare un bicchier d’acqua. Altrove, Gesù parlerà di dar da mangiare, ospitare, curare, visitare. Tuttavia, non possiamo ridurre l’accoglienza alle buone opere. Essa è prima di tutto un atteggiamento del cuore, un orientamento della mente e della volontà: corrisponde alla parola latina pietas, che possiamo tradurre “compassione”, ma che è qualcosa di più.

La pietas è lo sgretolamento delle rigidità interiori, dei puntigli, dei giudizi sommari, delle formule così rassicuranti nella loro assolutezza: significa sentire come nostra la fatica altrui, cercare in ognuno la pagliuzza d’oro, convinti che essa esiste anche laddove il terreno sembra più arido.

Comprendiamo bene che si tratta di un compito difficile Possiamo forse comprenderlo, magari anche essere d’accordo: ma il nostro itinerario di compassione è pieno di fallimenti e incoerenze.

Non perdiamoci d’animo. Le nostre cadute ci ricordano che noi per primi abbiamo bisogno di compassione. La chiediamo ai nostri fratelli uomini, ma soprattutto ci rendiamo conto dell’inesauribile misericordia del Dio, che Gesù ci ha insegnato a chiamare Padre.

E’ bello pensare che ogni caduta può essere l’occasione di una ripartenza più consapevole. La caduta ci mette davanti allo specchio e ci rende più umili. L’umiltà, a sua volta, genera la gratitudine per essere così pazientemente accolti: san Pietro scopre il senso vero della parola “amore”, quando Gesù gli ricorda il suo rinnegamento e nello stesso tempo gli mostra le ferite della croce che ha subito per lui.

La “pietà” è uno dei sette doni dello Spirito Santo. E’ un dono, prima di essere un programma di azione. Non stanchiamoci di chiederlo.