Zuppi: “Il lavoro non diventi luogo di morte”

cardinale Matteo Maria Zuppi a Bologna

Alla vigilia della festa della Repubblica del 2 giugno l’arcivescovo di Bologna card. Matteo Maria Zuppi, nominato recentemente presidente della Conferenza episcopale italiana, ha scritto una lettera rivolta a quanti lavorano nelle istituzioni, richiamando l’importanza di un servizio che si esprima in vari ambiti e settori della vita umana e che vada a beneficio dell’intera comunità.

“Carissima, carissimo, la vedo operare negli uffici, nelle aule di università o delle scuole, in quelle di un tribunale o nelle stanze dove si difende la sicurezza delle persone, nelle corsie dove si cura o nel front office di uno sportello, nei laboratori o lungo le strade per renderle belle e proprie, nei ministeri o in qualche ufficio isolato dove non la nota nessuno, nei cortili delle caserme o nei bracci delle carceri. In realtà tanta parte del suo lavoro non si vede, ma questa lettera è per lei. Istintivamente le darei del tu, ma preferisco cominciare dal lei per il grande rispetto che nutro”.

E ricordando la figura di Madeleine Delbrêl, una donna molto religiosa e molto impegnata nel sociale, l’arcivescovo aggiunge: “A proposito delle persone come lei, diceva che sono il filo che tiene insieme il vestito: la capacità del sarto è proprio quella di non farlo vedere, ma il filo è necessario perché i pezzi di stoffa si reggano insieme. Così è il suo lavoro, prezioso per le istituzioni della nostra casa comune, e ogni pezzo è importante. Davvero”.

Nella lettera il cardinale ha espresso gratitudine e apprezzamento per la generosità e la competenza, per il servizio svolto, l’impegno per “le cose di tutti senza nascondere problemi, ritardi e disfunzioni”; ha ricordato inoltre anche il welfare e il lavoro, chiedendo condizioni più sicure affinché proprio il lavoro non diventi luogo di morte e perché “deve contenere il futuro: per sé, per la propria famiglia, per i figli, sì, per i figli”.

Rivolgendosi ancora a chi opera nelle istituzioni, il cardinal Zuppi ha sottolineato: “Il suo lavoro è un servizio per il bene della comunità, composta da tante persone. Così tante che non possiamo sapere chi siano, eppure sono la mia e la nostra comunità. Sì, perché siamo una comunità, dobbiamo tornare a esserlo”.

“Il nostro – prosegue la lettera – è il tempo in cui realizzare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il cosiddetto Pnrr, e mi sembra possa essere un’occasione davvero decisiva dopo tanta sofferenza. Durante la pandemia abbiamo capito quanto le fragilità, le contraddizioni, le ingiustizie siano anche conseguenze dei rimandi, dei ritardi, delle furbizie, delle cose che bisognava fare e che non sono state fatte, degli interessi privati che hanno condizionato le scelte politiche. Le cause di tante sofferenze sono a volte così lontane che non le sappiamo più riconoscere. […] Sappiamo che c’è bisogno di istituzioni che funzionino bene, anzi meglio, ed è per questo che dobbiamo cercare la qualità”.

L’arcivescovo di Bologna, inoltre, ha richiamato l’alto valore della Costituzione italiana, alla quale peraltro aveva già indirizzato una sua lettera nel 2021, in occasione del 75° anniversario della Repubblica: “Gli uomini e le donne che hanno scritto la Costituzione avevano davvero sofferto molto, toccato con mano quanto l’umanità può restare sfigurata dalla violenza, ma avevano visto anche come uomini e donne sanno resistere e persino agire da eroi quando è necessario per aiutare qualcuno che soffre. Hanno perciò voluto lasciarci, nella Costituzione, un progetto per costruire e mantenere una società più umana e umanizzante, per riuscire a evitare le sofferenze da loro vissute. E tutto comincia dal saper fare unità. Mi sento chiamato a questo come cristiano, credo si possa realizzare prima di tutto con l’aiuto di Cristo, e ritengo che tutti, senza distinzioni, possiamo impegnarci a fare unità seguendo il progetto indicato dalla Costituzione”.

Nella lettera non mancano i riferimenti alle difficoltà attuali, incluso ovviamente il dramma della guerra in Ucraina: “Concludo col dirle che scrivo a lei ma scrivo in fondo a me stesso e a tutti noi cittadini, piccoli e grandi, e soprattutto a chi ha responsabilità, perché abbiamo bisogno di tutti. La guerra attuale ci ha ricordato che la pace non è mai scontata e che bisogna lavorare tanto perché la nostra casa accolga tutti, insegni a stare insieme tra diversi, lotti contro ogni ingiustizia, difenda i diritti di ciascuno e non metta mai in discussione la persona. Anche per questo non dobbiamo avere paura di accogliere, di dare fiducia, la possibilità di mettersi alla prova, di ascoltare con l’orecchio del cuore. Aggiustiamo quello che non funziona. Ogni persona è preziosa se è amata e difesa, come ogni persona è insignificante quando questo sguardo manca. È necessario che tutti coloro che lavorano nelle e per le istituzioni ritrovino un vero spirito di servizio e nel contempo che tutti i cittadini sappiano ritrovare e ricostruire la loro fiducia verso le istituzioni”.