Il virus ci ha svelato che siamo mortali

Don Giuseppe Dossetti

“In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. La parola che Giovanni Battista rivolge ai sacerdoti che lo interrogano sul suo battesimo è insieme accusa e annuncio di grazia. Il Messia è già presente, le grandi promesse stanno per compiersi: eppure, tutto questo rischia di passare inosservato, di rimanere sconosciuto. Come mai avviene questo, proprio tra coloro che di queste promesse erano i depositari, i sacerdoti, gli esperti delle Scritture?

Giovanni sembra ribaltare la domanda che la delegazione è venuta a porgli: “Tu, chi sei?”. Come un’eco, la domanda ritorna a coloro che l’hanno posta, ma anche a noi, che oggi leggiamo questo episodio (Gv 19-28). Chi siamo noi? Chi siamo noi, oggi, in questo tempo di tribolazione? Ci rendiamo conto che non possiamo rispondere come al solito, dicendo quello che facciamo: “Sono un dottore, sono un insegnante, sono un prete”. Non possiamo neppure nasconderci dietro le maschere rassicuranti dei nostri ruoli: “Sono un famoso scienziato, sono un ricco possidente, sono un membro del governo, faccio parte di accademie prestigiose, ho vinto l’Oscar come miglior attore”. Il virus dovrebbe aver svelato a tutti, e a noi stessi in particolare, quello che siamo: non siamo padroni di nulla, l’opera delle nostre mani è fragile, siamo mortali.

“Rendete diritta la via del Signore”: a questo ci sollecita Giovanni. Non dobbiamo nasconderci dietro le curve della strada, ma essere sinceri e diretti, anzitutto con noi stessi. Vanno rimosse le carcasse dei veicoli che manifestamente hanno finito la benzina. Tra questi, hanno un posto rilevante le ideologie, compresa quella religiosa. Il cristianesimo, in particolare, ha eretto costruzioni meravigliose, ha prodotto una cultura straordinaria: ma tutto questo sta in piedi solo grazie alle donne e agli uomini che rispondono sinceramente alla domanda: “Tu, chi sei?”. Altrimenti, il tempo eserciterebbe la sua forza disgregatrice e tutto appassirebbe e si sgretolerebbe.

Essere sinceri, vuol dire anzitutto riconoscere la nostra fragilità: in questo, il virus ci può aiutare. Ma non basta. Giovanni rivendica per sé un ruolo, col quale si identifica: “Io sono voce che grida; io sono colui che vi indica Colui che deve venire”. In altre parole, Giovanni esiste per la sua relazione con Gesù. Sembra strano, anzi, assurdo, che la nostra vita e il suo senso dipendano da un uomo vissuto duemila anni fa. Possiamo riconoscergli una grande saggezza, un’affascinante tenerezza verso i piccoli, una coerenza che non arretra neppure di fronte al supplizio. Ma se Gesù è solo questo, lo abbiamo liquidato, lo abbiamo collocato nella galleria dei ritratti di famiglia.

Conviene rileggere san Paolo:  “Mentre i Giudei chiedono segni (cioè potenza) e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani;  ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.  Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini …  Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1Cor 1,22-25.30). “Essere in Cristo Gesù”: questo è il programma di Paolo, ma anche quello di san Francesco: ”La volontà del Padre fu tale che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato e nato per noi, offrisse se stesso cruentemente come sacrificio e come vittima sull’altare della croce, non per sé, per il quale tutte le cose sono state create (Gv 1,3), ma per i nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme (1Pt 2,21). E vuole che tutti siamo salvi per Lui, e che lo si riceva con cuore puro e corpo casto”.

Il Natale può essere l’occasione per trovare in quel Bimbo il senso della nostra vita. Come mi disse una suora di ottantaquattro anni, “Il Natale è il tempo che rapisce il cuore degli amanti di Dio”.