I Cccp spiegati a chi vota a destra

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Breve ma indispensabile nota elementare per amici elettori di destra o di centrodestra o comunque per coloro i quali credono oggi che i Cccp-Fedeli alla linea di cui è in corso una molto frequentata mostra ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia siano un gruppo di musicisti nostalgici del socialismo reale, dell’Unione Sovietica e dell’esperienza novecentesca del comunismo emiliano: i Cccp, di un cui album (“Ortodossia”) si celebrano ora i quarant’anni, non sono affatto né mai furono dichiaratamente impegnati e di conseguenza tantomeno militanti del Pci. Giovanni Lindo Ferretti, il fondatore frontman e autore di gran parte dei testi del gruppo crebbe in Appennino e scese a valle contrastando le rigide convinzioni del partito onnipotente, e si impegnò semmai in prima persona frequentando il gruppo reggiano di Lotta continua. Dunque non partito, bensì movimento. Dunque arte, non militanza. E soprattutto critica e contrasto ai modelli di dominio occidentale e intensa dissimulazione del senso del tradimento dei valori sui quali si basava in quell’epoca per molti di noi coeva nella quale era andata perduta ogni ispirazione rivoluzionaria e palingenetica (escludendo le Brigate rosse, alle quali Reggio Emilia è ancora troppo legata per assumere finalmente il coraggio di analizzare la vicenda in sede pubblica).

La forza politica dell’opera di Ferretti e compagni, aldilà delle produzioni musicali e teatrali spesso di assoluto valore artistico e non priva di periodiche cadute, consiste nella rappresentazione di una funzione per così dire di cerniera nella storia della cultura politica emiliana altrimenti impelagata in una serie di conti non fatti o comunque irrisolti del secondo Novecento dal comunismo locale, il più solido e governante dell’intera Europa occidentale. La frusta di Ferretti produce un effetto medianico e assolve nella coscienza la crisi e la fine del Partito comunista italiano mediante una satira feroce sulla letteratura sloganista tipiche del socialismo reale. Ne denuncia la mancanza del senso del ridicolo, i riti consunti, i fallimenti economici ed esistenziali. Interpreta il senso di delusione che i comunisti italiani provano a partire dagli anni Sessanta, dalla crisi dell’ideologia, dall’allontanamento del rapporto con il mondo giovanile, sino alla scelta della politica di compromesso storico attuata da Berlinguer a partire dal 1973, dopo il golpe cileno. Cade il muro di Berlino, si scioglie il Patto di Varsavia, l’Urss si dissolve e Ferretti non perde tempo nel cercare di interpretare i tempi nuovi fondando per assonanza, più che per senso politico, il Consorzio Suonatori Indipendenti (Csi). Che produrrà peraltro anche ottime cose.

Che cosa rimane di allora, per questi boomer stazzonati e nostalgici? Un legame di appartenenza, il riconoscimento di avere la coscienza pulita, la consapevolezza di avere vissuto i propri vent’anni nell’inquietudine consolatoria accanto a milioni di coetanei. E forse anche il senso di una pacificazione con se stessi per le molte scelte involontarie compiute negli anni della disillusione, giustificate proprio attraverso le acrobatiche evoluzioni politico-spirituali del Ferretti ratzingeriano eremitico nei boschi del Cerreto (ne scrisse opportunamente anni fa lo scrittore correggese Marco Truzzi), una volta di più totem e sciamano impermeabile alle ideologie.

Post scriptum. Il prossimo pezzo per gli amici di sinistra.




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