Grazie, Cecilia!

“Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo,
perché ogni vita è vocazione.
Esso non riguarda solo aspetti tecnici della vita dell’uomo,
ma il senso del suo camminare nella storia assieme agli altri suoi fratelli
e l’individuazione della meta di tale cammino”

(cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritate, § 16)

 

No, in realtà non ce l’aspettavamo. Lo sfogo, il chiarimento – o sarebbe meglio dire la vera e propria riflessione – che Cecilia Zandalasini, la più forte giocatrice di basket italiana, ha consegnato ai social.

Cecilia ha solo 21 anni, ma è una di quelle speciali, di quelle forti. Gli occhi più esperti la seguono da parecchi anni. Il vero problema? Che quest’ultimo anno, da quest’estate, un anno fantastico, eccezionale, ha consacrato davanti agli occhi di tutti quello che, per chi la seguiva con attenzione da tempo, era già evidente. Ossia che Cecilia è un talento purissimo, assoluto. È nettamente superiore alle altre, a 21 anni sposta già gli equilibri di squadra e riesce a farsi premiare come MVP dell’Europeo.

Un’annata fantastica, dicevamo. Una stagione che Cecilia, nel post affidato allo spazio web TheOwlPost.it, ricostruisce nei minimi particolari: dall’Europeo con la qualificazione sfuggita per un soffio (e per un fischio arbitrale ingiusto, aggiungiamo noi) al riconoscimento quale best player della competizione continentale, fino alla chiamata nella WNBA, la NBA femminile. Conclusasi con la vittoria del titolo, dell’anello, insieme alla squadra delle Minnesota Lynx. Più che un trionfo, un sogno vero e proprio.

Cecilia Zandalasini è diventata così centro di un interesse caldissimo da parte di tifosi, di fans, di addetti ai lavori, di tanti ragazzi e ragazze che le hanno scritto, l’hanno contattata, specie sui social. Si è sentita erigere a modello, a idolo, a oggetto di imitazione da parte di tanti.

Oggi ci consegna una riflessione. "Non ero pronta a questo", dice. "Io volevo solo essere me stessa": per questo ha rifiutato, per lunghi mesi, alla ripresa del campionato (con Schio), ogni frequentazione dei social network.

(foto da Vanity Fair)

Cecilia, con una maturità che probabilmente non è della sua età, ci chiede di capire; al tempo stesso però lasciando lo spazio per l’incomprensione di chi non accetterà questo suo schermirsi dal ruolo di modello, di leader, di campionessa, di persona a cui tutti guardano, a cui tutti chiedono e che è posta sotto la visibilità generale.

Non vorremmo, nel momento in cui sottolineiamo questa scelta e ammiriamo questa profondità di riflessione, fare esattamente quello che Cecilia ci chiede di non fare; cioè, di nuovo, porla al centro dell’attenzione. 

Però lo scritto della giocatrice colpisce davvero nel profondo, anche per il tono inusualmente – rispetto alla “retorica sportiva” a cui normalmente siamo abituati – delicato e pregno di sensibilità.

Solo due piccole annotazioni, quindi, a margine del post di Cecilia, che invitiamo a leggere per intero

La prima. Riprendevo in mano, proprio in questi giorni, la Caritas in Veritate di Benedetto XVI. 
Senza voler enfatizzare improbabili parallelismi, colpisce però, nello scritto del vecchio Pontefice, l’attenzione data al temo dello “sviluppo”. Lo sviluppo, l’essere sempre meglio, l’aspirare a essere qualcosa di più, è una vocazione insita all’uomo. Tuttavia esso è autentico se coinvolge tutte le dimensioni della persona.

Ebbene, una ragazza che comincia a interrogarsi su se stessa, nel momento in cui si sviluppa la parte sportiva, carrieristica, di fama e di gloria della sua vita, e riflette se il resto della sua persona ha fatto gli stessi passi di sviluppo, se è pronta per tutto questo… beh, fa sicuramente riflettere noi. E rende tanto onore a lei.

Ancora di più – ed è il secondo punto – colpisce la riflessione della cestista, perché porta dentro di sé la famosa domanda, la “solita” domanda: ma io valgo? Valgo solo nel momento in cui sono un’atleta? Valgo solo nel momento in cui ho successo?

Oppure sono qualcosa di più rispetto al mio successo? Oppure cerco un amore più grande, una stima e un affetto che perduri nel tempo, che sia per quello che sono, non per quello che so fare?

Queste domande, in fondo, sono quelle che si pone – o dovrebbe porsi – ognuno di noi, nella sua vita. Che sia una giovane ragazza di 21 anni, nel momento della sua esplosione sportiva e mediatica, a richiamarle, la rende in un certo senso un modello. Credo non nel modo in cui lei rifugge, non come atleta o personaggio, non per ciò che “ha”, ma proprio per ciò che “è”.

Insomma, senza turbarne la serenità, cercando di non aggiungere pressione a pressione, però vorremmo che giungesse a Cecilia un semplice, minuscolo, sussurrato ringraziamento per la piccola grande lezione che ci sta impartendo.