Domenica di Pentecoste

Domenica di Pentecoste, Anno B – 20 maggio 2018

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27; 16,12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò
dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

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In che cosa consiste questa “verità pesante”, nella quale solo lo Spirito Santo può introdurre i discepoli? Non è difficile immaginarlo: si tratta della Croce e del fatto che proprio lì Dio si rivela come l’onnipotente, nell’apparente acme dell’impotenza. San Paolo lo aveva ben compreso: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per le genti; ma per coloro che sono chiamati, tanto Giudei che appartenenti alle genti, Cristo è sapienza di Dio e potenza di Dio” (1Cor 1,24).

Lo Spirito è detto Paràclito. Il termine viene tradotto con “consolatore”; in realtà, è un termine forense, che designa l’avvocato difensore, che sta accanto all’imputato e lo sostiene, lo consola, appunto. Ora, c’è un accusatore (“satana” in ebraico): egli dice: “Dio non c’è” (Salmo 14,1), non tanto nel senso di un ateismo teorico, ma come contraddizione del Nome divino “Io sono”. Il nome rivela la natura profonda di Dio, la sua caratteristica essenziale, che è quella di essere il presente, Colui che ogni uomo incontra in ogni sua strada.

Ebbene, il mondo e il suo Principe negano questo Nome, affermano che Dio è irrilevante, che non cambia la storia di nessuno, che non può o non vuole cambiare i meccanismi del mondo, le sue ferree leggi. La Croce di Gesù diviene l’argomento a favore dell’accusa: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso; ha confidato in Dio: lo liberi Lui, se gli vuol bene”. L’argomento è pesante, appunto, come un macigno, sembra por fine a ogni discussione. Esso viene replicato sempre, dinnanzi a ogni croce dell’uomo: dove è Dio?, chiede il misero, con angoscia; dove è Dio?, chiede con supponenza il libero pensatore. Soprattutto quando una disgrazia colpisce in modo cieco, come può fare un terremoto, o quando vengono coinvolti degli innocenti, la domanda si ripropone: Dio, dov’è?

Come potrà l’avvocato difensore confutare un argomento apparentemente così definitivo? La sua suprema, divina abilità si manifesta proprio nel fatto che egli usa l’argomento dell’avversario a vantaggio della propria causa: la Croce è il luogo della massima presenza di Dio. Là dove la solidarietà umana abbandona, dove le capacità di consolazione si esauriscono, proprio quando il dolore giunge all’estremo, solo la Croce consola, perché da quella Croce Dio dice all’uomo, a ogni uomo, anche all’ultimo degli uomini: Io sono con te.

Questa può essere la spiegazione delle ultime parole del vangelo di oggi, certo misteriose: “Tutto quello che il Padre possiede è mio”, il Padre si rivela completamente nel Figlio, in ciò che massimamente identifica il Figlio nella storia, la sua morte in croce.

L’avvocato difensore produce poi dei testimoni, che appoggino la sua argomentazione. Si tratta dei discepoli. Questo sorprende. Siamo ben consapevoli della nostra fragilità e dei fallimenti che la storia, anche recente, ci ricorda. Ricordiamo “le radiose giornate di maggio” di cento anni fa e l’entrata dell’Italia nella Grande Guerra: essa rappresentò il fallimento dell’Europa, il fallimento di un mondo, di una cultura. Ma fu anche il fallimento della cristianità europea: come fu possibile che dei cristiani si scannassero invocando lo stesso Dio, perché desse la vittoria alle loro armi?

Nel caso dell’Italia, la cosa fu ancora più grave, perché si era già potuta misurare la terribilità della strage che si stava verificando nelle trincee di Francia e sul fronte polacco e galiziano. In più, il Papa Benedetto XV aveva usato parole chiarissime di condanna della guerra. Ma molti, anche tra i responsabili delle comunità cristiane, più che il Papa ascoltarono i miti idolatrici della “grandezza della Patria” e dell’obbedienza incondizionata a un’autorità, a sua volta inquinata dal nazionalismo e dal disprezzo per il bene dei sudditi.

Dico questo, con molto dolore e consapevole che, al loro posto, mi sarei facilmente comportato come loro. Era possibile resistere? E’ possibile resistere oggi, alla seduzione della violenza, come possibile soluzione dei problemi? Credo che sia possibile, ma a patto di una continua purificazione del cuore e della mente, di una vigilanza, che ci renda consapevoli delle premesse della violenza agìta, quando la violenza è ancora nascosta nello sguardo col quale guardiamo l’altro uomo. In altre parole, abbiamo bisogno di un Paràclito, che ci “guidi alla verità”: la verità su Dio, anzitutto, che mostri la sua paternità e il suo amore, davvero universali; e, di conseguenza, alla verità sull’uomo: tutti peccatori, tutti ugualmente amati.

Tuttavia, anche in questi fallimenti dei cristiani è possibile per essi ricuperare il loro ruolo di testimoni: ammettendo sinceramente le proprie debolezze, dando l’esempio della conversione e affermando che, non per i propri meriti, ma per la straordinaria ricchezza della misericordia di Dio, è possibile ricominciare, è possibile essere risanati, guariti; e che l’esperienza del peccato porta a una maggiore comprensione, a un’umile fraternità verso ogni uomo.

Gesù non si è mai illuso sulla forza dei suoi seguaci: “Senza di me non potete fare nulla”, ha detto loro chiaramente (Gv 15,5). Ma “tutto è possibile a colui che crede”(Mc 9,23). Ora, la fede è semplicemente l’affermazione del santo Nome: Dio “è”, è il presente sempre, per offrire perdono e per dare la forza di un nuovo inizio. Tutto questo viene suggerito al discepolo di Gesù dal Maestro interiore, dallo Spirito Santo, appunto; Egli è l’amore divino, che nello stesso tempo è sapienza e forza.

Testimone, in greco, si dice “martire”. Oggi noi preghiamo per i cristiani martiri di tutto il mondo: lo facciamo con reverenza e con umiltà. Infatti, guai a noi, se usassimo il loro sacrificio per giustificare atteggiamenti violenti e di vendetta. Piuttosto, dovremmo chiederci cosa faremmo noi al loro posto, se avremmo lo stesso coraggio e la stessa coerenza, noi, che siamo così reticenti di fronte alle richieste della nostra fede, di uscire dai nostri compromessi e dai nostri egoismi.

Ma i martiri sono in realtà uomini e donne come noi: quindi, riconosciamo la forza di persuasione del divino Avvocato. Essi ci chiedono uno sforzo sincero di conversione: non usiamo il loro sacrificio per nutrire sentimenti di ostilità o, peggio ancora, per giustificare atteggiamenti di chiusura e di rifiuto. Piuttosto, chiediamoci che cosa possiamo fare, concretamente, nel nostro quotidiano, per essere un po’ di più coerenti con il dono ricevuto, con il sangue di Cristo Gesù.