Confcoop rilancia sulla cooperazione: serve una legge nazionale

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Con buoni risultati economici alle spalle (3,6 miliardi di fatturato delle imprese associate e un +3% sull’occupazione in dodici mesi, con i dipendenti saliti a 17.447 unità), la cooperazione reggiana rappresentata da Confcooperative rilancia decisamente sul riconoscimento del valore economico e sociale che esprime il movimento cooperativo.

Proprio dall’Assemblea annuale dell’organizzazione, infatti, è partita una forte sollecitazione alle centrali cooperative italiane che – ha detto il presidente Matteo Caramaschi aprendo i lavori “devono mettersi subito al lavoro su una proposta di legge nazionale che traduca nel linguaggio, nella cultura, nell’economia e nella società di oggi il concreto riconoscimento di quella funzione sociale della cooperazione che i padri costituenti vollero fissare così bene nella Carta che sanciva la rinascita di un Paese”.
Un riferimento esplicito e alto, dunque, ad una legislazione che sino ad oggi sembra essere andata in senso decisamente opposto a ciò che la cooperazione – ha detto Caramaschi – ha storicamente espresso e che oggi deve a maggior ragione esprimere in termini di inclusione ed estensione delle opportunità di lavoro, legame con i territori e le comunità, sostegno alle fasce a più forte rischio di emarginazione lavorativa e sociale.
“Oggi – ha detto Caramaschi – esplodono i bisogni che riguardano la tutela dei piccoli e medi imprenditori, la partecipazione dei lavoratori ai processi produttivi, una più equa distribuzione della ricchezza, lo sviluppo e la tenuta di un sistema di welfare sempre più fragile e la partecipazione attiva dei cittadini a servizi che oggi li confinano al ruolo di utenti e contribuenti”.

Da qui, dunque; il rilancio su una cooperazione che proprio a Reggio Emilia segna alcuni dei suoi record: dal numero di soci (quasi 57.000 quelli delle sole imprese aderenti a Confcooperative) alla quota complessiva di lavoratori in cooperativa sul totale degli occupati, pari al 18,5%.

“Veniamo – ha sottolineato Caramaschi – da vent’anni di “normalizzazione” della cooperazione, cioè da un lungo processo che ha teso ad includerla in una standardizzazione di prassi e norme che hanno mortificato la mutualità legata al lavoro, hanno tassato gli utili indivisibili (e perciò non distribuiti e a disposizione per opere di pubblica utilità in caso di scioglimento dell’impresa), hanno reso più complessi i processi di governo delle imprese, stanno equiparando l’apporto di lavoro dei – portatori di rischi ed investimento – a quello dei lavoratori subordinati e hanno fortemente ridotto l’interesse dei giovani verso la formula cooperativa, riservando semplificazioni ad altre forme d’impresa in cui non prevale la persona, ma l’apporto di capitale”.

“Ora – ha sottolineato il presidente di Confcooperative Reggio Emilia rivolgendosi ai tre presidenti nazionali di federazioni di Confcooperative che sono intervenuti ai lavori – è tempo di riportare la barra del timone al posto giusto, intervenendo su tutti gli elementi legislativi, culturali e amministrativi che possono determinare un virtuoso rilancio di quella crescita cooperativa che sta nell’interessi delle comunità locali quanto del Paese”.

Diverse le questioni affrontate nel corso dei lavori assembleari, tra le quali spiccano il tema del lavoro e della sua regolarità (uno dei punti cardine del documento inviato nei giorni scorsi dalla centrale cooperativa al neo presidente della Provincia), della competitività da accrescere con nuove reti di impresa, degli appalti di lavoro e servizi, della lotta alle false cooperative.

All’Assemblea provinciale di Confcooperative – che nel 2019 celebrerà il settantesimo di fondazione (nacque nel 1949 ed ebbe la prima sede in via Guidelli, in centro città) – sono intervenuti il presidente di Confcooperative Emilia-Romagna, Francesco Milza, i presidenti di tre delle più grandi federazioni nazionali di riferimento per le cooperative: Giorgio Mercuri (Fedagripesca), Stefano Granata (Fedrsolidarietà), Alessandro Maggioni (Habitat) e Pierpaolo Prandi dell’Ufficio studi della Confederazione Cooperative Italiane.