Come internet cambia la democrazia

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No, non basta un clic per fare democrazia, conclude Paolo Gerbaudo in “I partiti digitali” edito dal Mulino. Non basta un clic per le nostre coscienze addestrate nel corso del Novecento al rispetto assoluto e dogmatico della democrazia come forma migliore possibile per organizzare la vita degli umani. Metodo pieno di difetti ma pur sempre il migliore sul mercato, motteggiava Winston Churchill, e le generazioni uscite dal Novecento non hanno potuto per esperienza che convenirne.

L’analisi dei partiti cosiddetti digitali non può che partire dall’avvento della rete come luogo contenitore del Tutto o quasi. Internet informa le nostre vite da mattina a sera, ha rivoluzionato le nostre abitudini, lo smart working sta cambiando per sempre il nostro modo di lavorare e di studiare, le nostre relazioni si dividono ormai secondo due possibilità: in presenza o a distanza.

Ovvio che la partecipazione alla vita pubblica e l’esercizio di molti dei diritti individuali, compresi quelli politici, siano fortemente modificati con l’avvento del digitale.

Ma la domanda che dobbiamo porci è: siamo sicuri che il web non sia talmente rivoluzionario da cambiare la stessa nozione di democrazia per come siamo stati abituati a concepirla, da Platone in avanti?

È lecito provare dubbio. Certo: l’organizzazione dell’attività politica può giovarsi della rete, come già accade anche qui in Italia. Ma che ne sappiamo, noi generazioni nate nel secolo scorso, che nipoti e pronipoti troveranno interessante ristabilire luoghi fisici nei quali “fare politica”? Vi sembra che stiano tornando di moda le vecchie sezioni dei partiti? E a cosa servono ormai giornali e volantini cartacei?
Confesso di avere in mente una risposta un po’ spietata a questi interrogativi. Temo che la nostra gloriosa idea di democrazia sia in procinto di essere consegnata al passato. Diciamo che vi siamo attaccati per nostalgia e in ottima fede. Ma già oggi le generazioni zeta sanno di esistere socialmente attraverso un’identità cosiddetta virtuale che poi virtuale non è. Si continuerà a desiderare di guardarci in faccia, ascoltare le nostre voci. La realtà aumentata proporrà innovazioni oggi inimmaginabili. Le nostre odierne preoccupazioni saranno accolte con sguardo forse compassionevole. Ma altri mondi avanzano e non possiamo farci niente, salvo il rimpianto di non poterli vivere.