Centro storico di Reggio: senza tutela e decoro, il degrado avanza

La primavera fa inseguire la bellezza. La bellezza, però, deve farsi desiderare. Vorremmo fosse un disvelamento. O forse no. La bellezza sta nei particolari. Alle volte, invece, ci trovi il diavolo. La bruttezza, ovverosia. Così sempre, pedalando sulla bicicletta (leggermente sollevati dalla sella… per autodifesa) infiliamo via del Guazzatoio, pregustandoci piazza Fontanesi sgombra, oggi, da banchetti e da furgoni affumicanti. Ma a metà strada, l’occhio cade su via della Concia. «Per dove dobbiamo andare, perché – pensiamo – non tagliare da qua?». Mal ce ne incolse. Finiamo dritti dritti in bocca al diavolo, ossia affondiamo nella palude della tristezza che non conosce la bellezza, appunto. Buche, muri scrostati, graffiti insultanti. Come tante altre vie “secondarie” del centro (soprassedendo, per il momento, sulle zone a ridosso dell’Esagono e sulle periferie) che ci catapultano nel metaverso dell’opposto alla bellezza. Un universo parallelo sconnesso e senza speranza non infrequentemente illuminato da insegne luminose a led con scritto “aperto”. I “funghi” di Rota all’angolo tra via Secchi e via Spallanzani non avrebbero per nulla stonato, visto ciò che si vede ora.

Nel video abbiamo “sopralluogato” altri pezzi del centro: via Secchi, un pezzo dei giardini pubblici, dietro il Teatro municipale, dove si erge il piccolo edificio liberty, una volta destinato a bagno pubblico, (offeso, e noi con esso, da graffiti orribili) e via San Rocco.

Di fronte a un progressivo degrado, “strutturale e infrastrutturale”, resta inspiegabile come non si sia mai arrivati a discutere (e casomai approvare) negli anni scorsi un “Regolamento per la tutela e il decoro del patrimonio culturale del centro storico”, come è stato fatto, ad esempio, ad Arezzo (2019). Senza entrare nel dettaglio, il Regolamento del Comune aretino (in accordo con le organizzazioni di categoria) definisce i requisiti degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

Sono vietate, ad esempio, le «attività di vendita al dettaglio alimentare e non alimentare e/o di somministrazione effettuata mediante apparecchi automatici in apposito locale ad essa adibito in modo esclusivo; le attività di “money change”, “phone center”, “internet point”, “money transfer”; attività di commercio al dettaglio e/o all’ingrosso del cosiddetto “compro oro”; attività di “sale giochi”, “spazi per il gioco” e “centri scommesse e similari”; esercizi commerciali con settore alimentare esclusivo o prevalente, a totale ed esclusivo libero servizio, (market e minimarket)». Vi sono poi delle “Disposizioni obbligatorie per tutte le attività economiche consentite” in cui si vieta, ne riportiamo una fra le tante, l’installazione nelle vetrine di pannelli luminosi e scritte luminose «diversi dalle insegne di esercizio regolarmente installate conformemente al Regolamento edilizio e adeguate al contesto del luogo, schermi a led, lcd o simili, che siano visibili direttamente dalla pubblica via». Il Regolamento del comune di Arezzo fa rifermento alla legge regionale toscana n. 62/2018 e al Codice dei Beni Culturali D. Lgs. 42/2004.

Non ci risulta una pari legge emanata, in tempi recenti, dalla Regione Emilia Romagna sul tema.
Alcuni giorni fa, è stato presentato lo studio – commissionato dall’Amministrazione comunale reggiana al Politecnico di Milano – sullo stato delle attività economiche in centro storico, dal quale risulta «che il centro storico di Reggio Emilia – secondo quanto detto da Luca Tamini del Politecnico milanese – si trova in una condizione migliore di altre città. Quando si supera il 25% [solo via Roma arriva 32%] di attività cessate, diventa difficile invertire la rotta per la pubblica amministrazione, ma per il centro storico di questa città la situazione è complessivamente senz’altro migliore».

Entro l’estate dovrebbero giungere le proposte di sviluppo; altrimenti non ci sorprenderemmo di udire: «Ave Caesar, morituri te salutant», la voce del centro storico prima dell’ultima battaglia.