Zingaretti vince a sorpresa

Nicola Zingaretti Pd dalla parte delle persone

La vittoria del sì era largamente prevista: forse non nelle dimensioni (70%) ma certamente nelle indicazioni dei partiti (la quasi unanimità, sebbene con molti distinguo). A favore del no si è mobilitata una fetta importante dell’opinione pubblica, soprattutto a sinistra, e il 30% raccolto dice parecchio a proposito di una base consolidata nell’elettorato decisa a farla finita con questa onda populista che sembra non passare mai.

L’astensione vicina al 50% sommata al 30% di no dice che la maggioranza reale degli italiani non considera necessario il taglio generico di un terzo dei parlamentari. Questione di fatto marginale, ma sufficiente a Di Maio e compagnia per cantare vittoria e parlare, con estenuante abuso di aggettivo, di “fatto storico”.
Di storico questo voto in sette regioni presenta semmai la conferma del crollo esteso dei 5Stelle in tutto il paese, e già questa dovrebbe produrre una sana revisione degli assetti di governo promossa dai piani altissimi delle istituzioni. Ma non accadrà.

Il centrodestra strappa una regione al centrosinistra (le Marche) e finisce 3 a 3.

Viste le premesse il vincitore di questa tornata è Nicola Zingaretti, uscito quasi miracolosamente dalla cruna dell’ago. Il Pd è già davanti ai 5Stelle quasi ovunque, è l’unica forza rappresentata con forza strutturata residua da Nord a Sud, governa Regioni e amministra Comuni. È tuttora minoranza sopra il Po, e il Veneto di Zaia ne è la più clamorosa manifestazione, eppure oggi si colloca come punto di riferimento irrinunciabile per qualsiasi maggioranza parlamentare.

Diceva Paolo Mieli nella maratona televisiva di Enrico Mentana: ma se il Pd oggi si sente così forte, perché non preme affinché si vada a elezioni anticipate? Domanda ovviamente retorica. Zingaretti esce rafforzato dalle urne, può sedersi al tavolo con il premier e gli alleati e far pesare di più il ruolo del Pd al governo (prima verifica, il Mes). Poi ci sono i miliardi dell’Europa da collocare e muovere le pedine in vista del 2022, quando si tratterà di sostituire Mattarella al Quirinale. Soglio a cui oggi può aspirare persino il cauto ma vincente fratello gemello del commissario Montalbano. Dunque, calma. Uscito dal Covid con qualche fatica, spossato dai tempi di una campagna elettorale ai cui ritmi non è abituato, il buon Nicola può ora dettare tempi e modi per attuare la sua strategia. Sempre che ne abbia una.