Via Rasella, così si svolsero i fatti

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A Roma, in via Rasella, il 23 marzo 1944, verso le 15:30, dodici gappisti – ovvero partigiani appartenenti alle formazioni denominate Gap, Gruppi d’azione patriottica – uccisero, in un attentato, trentatré soldati dell’XI Compagnia del III Battaglione di polizia SS Bozen (Bolzano).

Il 24 marzo, i tedeschi del servizio di sicurezza (SD) al comando del tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, alla cave Ardeatine, situate poco fuori Roma, ammazzarono trecentotrentacinque persone (invece di trecentotrentatré, per errore) alle quali, «per la ristrettezza del tempo», spararono «un sol colpo al cervelletto» a «distanza ravvicinata per rendere sicuro questo colpo, ma senza toccare la nuca con la bocca dell’arma» (il virgolettato è tratto dalla Sentenza n. 631, del Tribunale Militare Territoriale di Roma del 20 luglio 1948).

I due eventi, l’attacco gappista e la rappresaglia nazista, sono distinti, ma collegati dalla decisione politico-militare del comando tedesco perché la «strage [fu] una scelta deliberata, non [fu] la inevitabile e meccanica conseguenza dell’attacco di via Rasella. Chi programma l’attacco gappista, com’è ovvio, non ignora che potrà esserci una reazione…», (Chiara Colombini, 2021).

È l’occupante tedesco a scegliere il tipo di reazione. Lo storico Carlo Gentile, esperto di storia tedesca, scrive che il “famoso” rapporto di uno a dieci – ossia per un tedesco ucciso dieci ostaggi sarebbero stati ammazzati per rappresaglia – «o qualsiasi altro rapporto – non compare in nessuna delle numerose disposizioni dei comandi tedeschi» (Colombini, 2021). Nel caso delle Fosse Ardeatine fu Kappler a decidere di uccidere dieci italiani per ogni soldato ucciso.

Non è neppure vero che la strage fu perpetrata contro civili estranei alla lotta partigiana, basta consultare l’“Atlante delle stragi in Italia” (disponibile online) sulle Fosse Ardeatine: su 335 vittime prelevate dalle carceri di Regina Coeli e di via Tasso, ottantasette erano partigiani, cento gli antifascisti, sessantasette gli ebrei (tra i quali alcuni partigiani), nove i militari, undici i carabinieri e sessantun erano persone non riconducibili a categorie specifiche.

È anche falsa la notizia che circolava allora – come ancora qualcuno la riprende oggi come fosse vera – secondo cui i patrioti avrebbero potuto evitare la strage consegnandosi ai tedeschi, fasulla come la diceria che racconterebbe di un manifesto affisso ai muri della città con l’invito ai partigiani a consegnarsi lanciato dal comando tedesco. Fake news, punto.

Nella sentenza citata risulta chiaro che della strage si venne a sapere solo a cose fatte, con un comunicato stampa del giorno successivo, il 25 marzo, diffuso dal comando tedesco, che si chiude con le lapidarie parole: «L’ordine è stato eseguito».
È lo stesso Kappler a spiegarne il motivo: il timore di una reazione della popolazione di Roma (“città aperta” ma solo a parole), e dei patrioti. Anche il feldmaresciallo nazista Albert Kesselring, testimoniando al processo per la strage, celebrato a Roma nel novembre 1946, «aveva dichiarato che non fu diffuso alcun messaggio o manifesto invitante “i colpevoli sfuggiti all’arresto” a comparire, anche se “l’idea sarebbe stata molto buona”», (Santo Peli, 2017).

Infine, i militi dell’XI compagnia del III Battaglione dell’SS-Polizei Regiment Bozen (Reggimento di polizia “Bolzano”), già Polizeiregiment “Südtirol” (dal 1º al 29 ottobre 1943) e in seguito SS-Polizeiregiment “Bozen” (dal 16 aprile 1944), facevano parte del reparto militare della Ordnungspolizei (polizia d’ordine) creato in Alto Adige, nell’autunno 1943, durante l’occupazione tedesca della regione. L’SS-Polizeiregiment “Bozen” ero formato essenzialmente da coscritti altoatesini mentre gli ufficiali e i sottufficiali erano tedeschi.

In particolare, il III battaglione fu trasferito a Roma tra il 12 e il 19 febbraio 1944 ed era in fase addestramento, in quel periodo, per essere successivamente a rilevare le altri due compagnie che operavano in città. E regolarmente percorreva quel tragitto – come ricorda il dirigente comunista e patriota Giorgio Amendola nel suo libro autobiografico Lettere a Milano – e sempre all’incirca allo stesso orario, passando per piazza di Spagna, via Rasella, via Quattro Fontane e via XX Settembre.

Il 23 marzo ricorreva l’anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento, avvenuta a Milano nel 1919. I tedeschi proibirono il corteo fascista.
«L’azione di riserva – scrive Amendola – preparata contro i tedeschi restò quella principale».

Alcuni suggerimenti di lettura
Il lavoro di Chiara Colombini, E allora i partigiani, Laterza, è un saggio sintetico ma molto accurato che affronta tutti i temi “scottanti” che riguardano la Resistenza e la lotta di Liberazione.

Per approfondire le varie questioni toccate nell’articolo consigliamo:
Carlo Gentile I crimini di guerra tedeschi in Italia, Einaudi, 2022
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Bollati Borighieri, 2016 (terza edizione)
Santo Peli, Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza, Einaudi, 2017
Alessandro Portelli, L’ordine è stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, 1999.

Siti web
Atlante delle stragi in Italia <https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2127> / sulle Fosse Ardeatine)
Le notizie relative all’XI Compagnia del III Battaglione di polizia SS Bozen le abbiamo ricavate dal sito web dell’Associazione nazionale combattenti e reduci che, a sua volta, rimanda per una ricostruzione dettagliata del Polizeiregiment “Bozen” alla pagina Wikipedia:
<https://it.wikipedia.org/wiki/Polizeiregiment_%22Bozen%22>.




Ci sono 3 commenti

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  1. Lamberto François

    Premetto che non ho mai scritto a nessuno in vita mia………..ma decido di offrire una semplice testimonianza solo in virtu’ che all’epoca dell’evento avevo 12 anni e pur avendone oggi una novantina mi vanto di conservare tutt’ora una buona lucidita’….Questi del battaglione Bozen si annunciavano cantando passando in Via Giovanni Vitelleschi ( Porta di Castello ) ove noi ragazzini eravamo intenti a giocare a nizza ( in altri luoghi detto il gioco della lippa ) e tralasciando il nostro gioco , li seguivamo , per un breve tratto , con i nostri manici di scopa a mo’ di fuciletto sulle spalle , scimmiotando il loro passo cadenzato……Ricordo che alcuni di loro voltandosi non trattenevano delle risate. Del resto era il loro naturale percorso , in quanto provenienti dai lavori al Poligono di Tiro di Tor di Quinto ( Ponte Milvio , Foro Italico , Viale Angelico , via Ottaviano , P.zza Risorgimento ) il transito obbligato era dove giocavamo in strada……..Ora non saprei se proprio costoro fossero quelli che andavano a morire in via Rasella , ma quelli di cui noi ci prendevamo gioco erano : in tuta da lavoro caki , non avevano alcun elmetto , avevano come armi solo pala e piccone in spalla e forse come afferma un noto storico ” erano tra quelli meno tedeschi che militavano nella Weermacht …… Erano comunque nazisti o loro alleati e non certo una ” banda di musicanti ” come , con stolta leggerezza , ha affermato un noto parlamentare…… Lamberto François

  2. Ivaldo Casali

    Ulteriori suggerimenti di lettura:
    1)La “strage cercata” di via Rasella di Massimo Caprara (Segretario per vent’anni di Palmiro Togliatti). Fu uno degli episodi più “celebrati” della resistenza partigiana. Un “atto di guerra” che nasconde un oscuro “regolamento di conti” fra comunisti. Il ruolo di Giorgio Amendola. Fonte: Storia Libera.
    2) Il libro “Via Rasella, cinquant’anni di menzogne” di Pierangelo Maurizio – Ed. 1996


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