Traversetolo, affidi spiegati ai cittadini

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Di questi tempi, in cui imperversano le cronache da Bibbiano, per trasformare una Commissione consiliare sugli affidi familiari in un incontro pubblico a microfoni aperti ci vuole coraggio. Ma in Azienda Pedemontana sociale (APS) il coraggio non è mancato. Un coraggio che nasce dalla consapevolezza di aver lavorato sempre per il bene dei minori e delle famiglie, tant’è che nei suoi 11 anni di vita l’azienda del welfare dell’Unione Pedemontana Parmense non ha mai ricevuto segnalazioni in merito a irregolarità o non conformità alle linee guida nella gestione degli affidi. Così martedì 10 settembre, in un’affollatissima sala consiliare del Centro civico “La Corte” di Traversetolo, Pedemontana Sociale ha organizzato un incontro pubblico, aperto dai saluti del suo presidente e sindaco di Traversetolo Simone Dall’Orto, che ha voluto organizzare la serata «per far conoscere a tutti i cittadini e nella massima trasparenza, offrendo la possibilità di rivolgere domande e chiedere chiarimenti, gli sforzi e l’operato della nostra azienda. Perché se un professionista sbaglia – ha sottolineato – non bisogna fare di tutta l’erba un fascio».

Tra i relatori, il direttore generale di APS, Adriano Temporini, il titolare del Servizio, Federico Manfredi, la consulente legale esperta in diritto di famiglia dell’Azienda, avvocato Valentina Migliardi, la responsabile della Neuropsichiatria infantile del Distretto Sud Est dell’Ausl, Rita Cavalieri, il referente dell’area disabili e minori della cooperativa Auroradomus, Antonio Pignalosa, e Davide Ferrari, presidente di Affidarca, l’associazione delle famiglie affidatarie di Parma e provincia.

Temporini ha dato il benvenuto agli amministratori, tra i quali i sindaci, assessori e consiglieri dei Comuni dell’Unione, rivolgendo un ringraziamento particolare alle famiglie affidatarie presenti, «uno dei più importanti e preziosi capitali sociali della nostra comunità». «L’affido avviene in situazioni rare – ha messo in chiaro subito il direttore –, quando le difficoltà ad assicurare al minore un ambiente idoneo sono in quel momento insuperabili. Ma l’obiettivo è quello di recuperare la famiglia di origine. Nella narrazione, sembra che si ricorra a questo strumento dalla sera alla mattina, ma non è così. Si tratta di una misura estrema, alla quale si arriva al termine di un lungo percorso, fatto di tentativi e accompagnamenti, durante il quale vengono forniti tutti i supporti disponibili. Poi ci sono casi urgenti, nel nostro territorio non più di 3 o 4 all’anno, in cui il servizio sociale stesso è obbligato ad intervenire per mettere in sicurezza il minore».

Le segnalazioni di situazioni problematiche all’interno delle famiglie possono arrivare dai Servizi sociali, dalle forze dell’Ordine ma anche da semplici cittadini. Una volta ricevuta una segnalazione, vengono svolti approfondimenti e verifiche da parte dei Servizi sociali, che si concludono con una relazione, e se la famiglia di origine è d’accordo ed ha un’accettabile consapevolezza delle difficoltà, si costruisce un progetto di aiuto. L’affido è quindi un’extrema ratio e, ha precisato Temporini, contrariamente a quanto si sente dire spesso, l’allontanamento non può essere disposto per motivi economici, così come messo nero su bianco nella Legge 149/2001.

Manfredi ha precisato che nei cinque comuni dell’Unione Pedemontana gli affidi, al 30 giugno 2019, sono 30, tra i quali sono del tutto prevalenti quelli che promuovono il mantenimento del legame del minore con la sua famiglia di origine (ad esempio affidi a parenti ed affidi a tempo parziale con rientri al domicilio), fermo restando che in tutti i casi vengono previsti concomitanti interventi a favore dei genitori e finalizzati al rientro.
Numeri che testimoniano come l’obiettivo finale sia sempre quello del “ritorno”. Il responsabile del servizio ha poi illustrato il percorso per supportare le famiglie: «L’equipe affido è formata da un’assistente sociale di APS e una psicologa Ausl, mentre l’equipe tutela è composta da: assistenti sociali, educatori di APS, psicologi e operatori della Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ausl. Si tratta di personale interno o di altri enti pubblici, una precisa scelta della nostra Azienda che non si avvale di consulenti esterni».

Anche il percorso per essere una famiglia affidataria è particolarmente attento. «Dopo il primo colloquio, occorre frequentare un corso formativo e accedere poi ad altri incontri di conoscenza e di valutazione della disponibilità prima di arrivare ad una proposta di abbinamento – precisa Manfredi –. Il progetto viene condiviso con la famiglia stessa, che sarà costantemente accompagnata con colloqui di verifica, supporto e gruppi mensili, condotti dalla equipe. Un vero lavoro “di rete”, fatto di momenti di incontro e confronto tra famiglie affidatarie, ma anche tra i figli stessi, che possono condividere le loro esperienze e le loro emozioni».
Fondamentale per APS è la prevenzione: «I servizi devono operare per rimuovere gli ostacoli di natura sociale, economica o ambientale, che rendono complessi i rapporti familiari. E oltre agli aiuti di natura economica e agli interventi degli educatori domiciliari, ci sono progetti come “Una famiglia per una famiglia”. Un progetto fatto di famiglie che aiutano altre famiglie in difficoltà, ad esempio nella gestione dei figli o a causa della perdita del lavoro».

«Togliere un bambino a una famiglia è una privazione della libertà personale del genitore, ma anche del minore che subisce un trauma – ha detto l’avvocato Migliardi che ha parlato dell’affido dal punto di vista legale –. L’obiettivo è quello del mantenimento del minore nella propria famiglia di origine e c’è una “macchina” che lavora perché questo accada». La dottoressa Cavalieri ha voluto mettere in risalto il fatto che «l’affido non deve essere considerato come un giudizio sulla famiglia, ma è un atto di solidarietà che si compie nel momento in cui viene rilevata una difficoltà e si attiva una rete che potrà migliorare la situazione. Lavorare per costruire la possibilità di un affido vuol dire lavorare insieme. Gli attori mai passivi sono i minori, la sua famiglia, la famiglia individuata come possibile affidataria e i servizi». Pignalosa ha parlato del ruolo degli educatori, che «si fanno carico di una situazione cercando di migliorarla, valorizzando le competenze e la capacità delle persone».
Un ruolo delicato anch’esso in un’ottica preventiva, perché «agisce prima che le situazioni degenerino». Ferrari, presidente di
Affidarca, ha illustrato l’attività dell’associazione, che ha tra i suoi obiettivi la tutela e la promozione dell’affido, sottolineando l’importanza dei gruppi mensili, «per dare risposte a determinati bisogni delle famiglie affidatarie, come quello di non sentirsi sole e di condividere le proprie esperienze».

Ferrari ha parlato anche della sua lunga esperienza di papà affidatario. «Spesso gli amici mi chiedono: “Ma non ti affezioni”? Come fai a lasciarli andare?” Io rispondo che sì, mi affeziono tantissimo, ma che non li lascio andare, perché il “lasciarli andare” presuppone un possesso che in una relazione di amore non può esserci».