Sempre e soltanto cose

papa Francesco sofferente

Diceva Novalis in epoca romantica: “Noi cerchiamo dappertutto l’assoluto, l’incondizionato, e troviamo sempre e soltanto cose”. Le parole del poeta dipingono un chiarore di consapevolezza e rimandano alla sofferenza della chiesa cattolica e dei suoi fedeli impegnati in una terribile stagione dell’Anticristo. Noi testimoniamo la presenza di Dio nel nome di una fede che vorremmo vergine, celeste, luminosa. E ogni volta ritorniamo a terra tramortiti dal fango dell’inimicizia e della divisione.

Benedetto Croce ci insegnò nel Novecento che non potevamo non sentirci cristiani, laici e materialisti compresi. Da liberale quale era, Croce poteva guardare alla chiesa senza i paraocchi dell’appartenenza. Quando Bergoglio si fece Francesco, molti anni dopo, parve che i binari paralleli di una chiesa sempre a rischio di divisione potessero infine avvicinarsi in clima di fraternità, riuscendo Roma a essere riconosciuta senza preclusioni nell’intero mondo cristiano.

Ma non accadde, e la delusione fu cocente. Francesco immaginava l’autenticità del Cristo vivente in una chiesa ospedale da campo, che trovasse l’autenticità del Vangelo vissuto alle periferie sofferenti, agli ultimi, agli emarginati. Invece, suo malgrado, il suo pontificato si è visto costretto a occuparsi di scandali di ogni tipo, dalle tresche sessuali alle ruberie della curia e dei molti trafficanti che la frequentano.

Qui le parole di Novalis assumono il segno della profezia: Francesco avrebbe voluto portare Cristo nel cuore di uomini e donne, ma i suoi desideri non sono stati accolti. Cose, soltanto cose. Ossia la materia di cui è fatto il presente, i bassi istinti di un’umanità mondana priva di sensibilità interiore, ossia inanimata. E se non c’è l’anima, dove può farsi spazio Dio?

Siamo nipoti di Croce e riconosciamo il nostro essere culturalmente cristiani, ossia formati alla fede sin da piccoli ma non praticanti in età adulta. Paradossalmente si preferiscono riti arrivati da poco in Occidente: ci si avvicina all’assoluto più con la meditazione o con lo yoga di quanto avvenga in una messa cattolica priva di misticismo.

Vorremmo il sacro, entrare nel mistero, esplorare ciò che appartiene ai grandi perché dell’esistenza. Invece troviamo cose, soltanto cose. E scandali. E noia, perché lo scandalo si perdona agli uomini di strada, ma non a coloro i quali siano chiamati a esser presi come esempio.

Si svuotano le chiese, crollano le vocazioni, la chiesa di Roma stipula accordi con Pechino per nominare insieme i vescovi cinesi. La globalizzazione ha da tempo obbligato i papi a una politica di appeasement con il Partito comunista più potente del mondo. La realpolitik vaticana ha già rinunciato ai propri principi universali di dialogo interreligioso. Ciò ha deluso le aspettative di molti, soprattutto nella vecchia Europa.

Molti, ma non sufficienti a modificare il corso della storia. Ecco, abbiamo un papa che si vorrebbe Francesco, e una chiesa cui di francescano non è rimasto altro che il simbolo di un Cristo tradito ancora sofferente sulla croce. E nella sua rappresentazione contemporanea, si staglia quell’uomo vestito di bianco che vorrebbe probabilmente fermarsi a parlare di Dio, anziché degli uomini. Non vi riuscì Ratzinger, non vi è riuscito Bergoglio. L’Anticristo vince sulla chiesa degli umani e la realtà si adegua seminando guerre e pandemie.